N. 13/2022
La prescrizione come noto è disciplinata dall’articolo 2934 c.c. che stabilisce: “Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge. Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge.”
La ratio dell’istituto giuridico della prescrizione è chiara: se il titolare di un diritto omette di esercitarlo per un determinato periodo di tempo, dimostra in maniera implicita di non avere alcun interesse a fare uso di quel diritto.
Non tutti i diritti, comunque, sono soggetti alla prescrizione. Sono infatti esclusi tutti i diritti indisponibili, il diritto di proprietà, l’azione volta a far dichiarare a nullità di negozi giuridici e le azioni in materia familiare.
Le norme sulla prescrizione sono inoltre inderogabili: questo significa che le parti non possono accordarsi, neanche concludendo un contratto scritto, con cui dichiarano di rinunciare o di modificare la prescrizione.
Inoltre, in virtù di quanto stabilito dall’art. 2938 c.c. l’eccezione di prescrizione costituisce eccezione in senso proprio e come tale deve essere sollevata dalla parte interessata a far valere l’estinzione della pretesa altrui. [La prescrizione può, tuttavia, essere fatta valere anche in via di azione (ad esempio, il titolare di un fondo gravato da servitù agisce per l’accertamento dell’estinzione della servitù stessa – mancato esercizio di un diritto – allo scopo di impedirne la riattivazione).
Ma come si eccepisce la prescrizione?
E’ noto che la legge non richiede particolari formule sacramentali per sollevare la predetta eccezione.
Quel che è rilevante, infatti, è che la volontà di eccepire la prescrizione risulti da espressioni di significato inequivocabile e chiaro.
Con una recentissima pronuncia la giurisprudenza di legittimità è tornata a pronunciarsi sul tema aggiungendo un quid pluris.
Nello specifico la Corte di Cassazione Civile, sez. VI-2, con ordinanza del 10 marzo 2022 n. 7835, ha stabilito che deve escludersi che l’atto interruttivo debba necessariamente indicare l’importo richiesto in pagamento o l’intimazione ad adempiere, essendo sufficiente anche la mera richiesta scritta di adempimento accompagnata dall’individuazione del debitore.
A parere della Corte la conclusione alla quale é pervenuto il Tribunale di Roma con l’ordinanza cassata “appare del tutto assertiva, oltre che non conforme a diritto, dovendo escludersi che l’atto interruttivo debba necessariamente indicare l’importo richiesto in pagamento o l’intimazione ad adempiere, essendo sufficiente la mera richiesta scritta di adempimento accompagnata, come nel caso in esame, dall’individuazione del debitore (Cass. n. 7835 del 2022, Cass. n. 15714 del 2018, Cass. n. 15766 del 2006).
Del resto, costituisce ius receptum il principio di matrice giurisprudenziale secondo il quale tale intimazione non è soggetta a rigore di forme, all’infuori della scrittura, e, quindi, non richiede l’uso di formule solenni né l’osservanza di particolari adempimenti, essendo sufficiente che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere dal medesimo il soddisfacimento del proprio diritto (Cass. Sez. 3, n. 3371 del 12/02/2010; id. Sez. 2, Sentenza n. 24656 del 03/12/2010), essendo sufficiente a tal fine la mera comunicazione del fatto costitutivo della pretesa (cfr. Cass. Sez. L, n. 24054 del 25/11/2015).
Avv. Valentina Dipresa
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