N. 25/2022
Il Tribunale di Palermo, con l’ordinanza n. 12299, del 15 dicembre 2021, si è pronunciato con riferimento all’art. 1923 c.c. stabilendo – quale criterio determinante l’applicazione dello stesso – quello relativo alla natura della polizza.
Come noto, l’articolo in parola, recante “Diritti dei creditori e degli eredi”, fa parte di un complesso di norme che disciplinano l’assicurazione sulla vita e sancisce la non assoggettabilità a procedure esecutive o cautelari delle somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario, ferme restando le norme in materia di revocazione degli atti compiuti in pregiudizio dei creditori, nonché delle disposizioni relative alla collazione, alla imputazione e alla riduzione delle donazioni.
Soffermando l’attenzione sulla natura previdenziale del contratto di assicurazione sulla vita, non è superfluo specificare come questa sia insita nel trasferimento, dall’assicurato all’assicuratore, di un rischio relativo alla durata della vita umana.
Esistono, tuttavia, delle tipologie di polizze che assolvono a funzioni differenti rispetto a quella puramente previdenziale: è il caso delle polizze cd. linked, le quali si caratterizzano per essere variamente indicizzate, rivalutabili e variabili, il cui rendimento è collegato a un’attività finanziaria. Nello specifico, trattasi di polizze agganciate all’andamento di indici di borsa o di fondi di investimento.
A tal riguardo, il Tribunale di Palermo ha correttamente affermato che la forte componente finanziaria caratterizzante i contratti da ultimo menzionati, sia idonea a incidere in maniera significativa sullo schema contrattuale assicurativo, prospettando, da un lato, l’esigenza di sottoporne la negoziazione alle cautele tipiche dell’intermediazione finanziaria e, dall’altro lato, la difficoltà di tracciare i confini tra una polizza vita – contraddistinta, come detto, da uno spirito previdenziale – e una polizza linked – in cui, invece, prevale la natura di strumento finanziario di puro rischio.
La differenza tra i due tipi di polizza, invero, viene nettamente evidenziata dalla Suprema Corte di Cassazione la quale, nel soffermare preliminarmente l’attenzione sulle polizze vita di tipo classico, ha affermato che con le medesime l’assicurato miri a garantire ai propri familiari o a terzi la disponibilità di una somma al momento della morte. In più, con la polizza vita il rischio di perdita del capitale è pari a zero in quanto l’importo da erogare alla scadenza del contratto è predeterminato.
Nelle polizze a contenuto finanziario, diversamente, non sussiste alcun obbligo restitutorio in capo all’impresa assicuratrice: l’attività, a ben vedere, si sostanzia in una sorta di gestione del denaro investito, ciò che conduce a un risultato dipendente dall’andamento di mercato e dai titoli investiti e quindi, in ultima analisi, dal rischio finanziario gravante interamente in capo all’assicurato (cfr. Cass. Civ., Sez. II, n. 29583/2021).
Di conseguenza, occorre domandarsi quale sia la disciplina di volta in volta applicabile, avuto riguardo alla natura della polizza.
Sul punto, il Tribunale di Palermo ha preso le mosse da un altro provvedimento emesso dalla Corte di Legittimità, secondo cui il contratto di assicurazione sulla vita possa realmente così definirsi solo allorquando rechi la garanzia della conservazione del capitale sino alla scadenza.
Viceversa, il contratto deve essere considerato alla stregua di un investimento finanziario e, come tale, assoggettato al T.U.F. e al regolamento Consob. Dunque, qualora il rischio ricadesse interamente sul soggetto assicurato, ci si ritroverebbe dinanzi ad una fattispecie contrattuale differente rispetto all’assicurazione sulla vita nella quale, si rammenta, l’intermediario è tenuto a tener fede alle regole di leale comportamento previste dalla normativa (cfr. Cass. Civ., Sez. III, n. 10333/2018).
Va da sé che il Giudice di merito, al fine di stabilire se l’impresa, l’intermediario o il promotore abbiano violato le suddette regole, debba valutare il contratto caso per caso – e al di là del nomen iuris attribuitogli –, in modo da comprendere se trattasi di polizza assicurativa sulla vita, ovvero di uno strumento finanziario.
In conclusione, il Tribunale di Palermo, con l’ordinanza in commento, ha ritenuto che per le polizze aventi natura previdenziale sia applicabile il disposto di cui all’art. 1923 c.c., mentre, con riferimento a quelle prevalentemente caratterizzate dal rischio finanziario, il ridetto articolo non possa ritenersi applicabile.
Avv. Filippo Furfaro
(riproduzione riservata)