N. 13/2024
Servizi accessori a un contratto di credito a consumo: condizioni per l’inclusione del loro costo nel TAEG, adeguatezza della sanzione di nullità per la mancata indicazione e valutazione del carattere abusivo delle clausole che li regolano
CGUE, Sezione IXª, sentenza 21 marzo 2024, S.R.G. c. Profi Credit Bulgaria EOOD (causa C‑714/22)
Con sentenza dell’11 gennaio 2024 la Terza Sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea, chiamata a pronunciarsi, su domanda pregiudiziale interpretativa proposta dal Sofiyski rayonensad (Tribunale distrettuale di Sofia), nell’ambito della controversia interna tra un consumatore (S.R.G.) e un istituto di credito bulgaro (la Profi Credit Bulgaria EOOD), relativa alla invalidità di un contratto di credito al consumo e alle conseguenze che ne derivano in ordine alla restituzione di somme a titolo di interessi e spese in forza di tale contratto, ha dichiarato, inter alia, che:
(i) l’art. 3, lett. g), della direttiva 2008/48/CE, deve essere interpretato nel senso che «i costi relativi a servizi accessori a un contratto di credito al consumo, che attribuiscono al consumatore che acquista tali servizi una priorità nell’esame della sua domanda di credito e nella messa a disposizione della somma presa in prestito, nonché la possibilità di dilazionare il rimborso delle rate mensili o di ridurne l’importo, rientrano nella nozione di «costo totale del credito per il consumatore», ai sensi di tale disposizione, e, di conseguenza, in quella di «tasso annuo effettivo globale», ai sensi di tale articolo 3, lettera i), qualora l’acquisto di detti servizi risulti obbligatorio per ottenere il credito di cui trattasi o qualora gli stessi costituiscano una montatura destinata a dissimulare il costo effettivo di tale credito».
Nel giudizio interno, il consumatore, che aveva deciso di acquistare due servizi[1], aveva contestato la mancata inclusione del loro prezzo nel TAEG e il Sofiyski rayonensad, considerate le sanzioni previste dallo Zakon za potrebitelskia kredit (legge sul credito al consumo, DV n. 18, del 5 marzo 2010) per la mancata indicazione del TAEG[2], aveva domandato alla Corte sovranazionale, in via pregiudiziale, se la remunerazione per la tipologia di servizi acquistati nel caso di specie costituisse un costo da includere nella formula di calcolo del TAEG, conformemente l’art. 3, lett. g), della direttiva 2008/48/CE.
La Corte, con la dichiarazione sopra riportata, ha affermato che i costi per i servizi acquistati dall’attore nella controversia nazionale rientrano nella nozione di TAEG laddove l’acquisto degli stessi risulti obbligatorio per l’accesso al credito o qualora gli stessi costituiscano un artifizio volto alla dissimulazione del costo effettivo di tale credito, precisando che l’accertamento di dette condizioni è appannaggio del giudice nazionale.
(ii) l’art. 10, § 2, lett. g), e l’art. 23 della direttiva 2008/48/CE devono essere interpretati nel senso che «essi non ostano a che, qualora un contratto di credito al consumo non menzioni un tasso annuo effettivo globale comprendente tutti i costi previsti all’articolo 3, lettera g), di tale direttiva, detto contratto sia considerato esente da interessi e da spese, di modo che il suo annullamento comporta soltanto la restituzione, da parte del consumatore interessato, del capitale prestato».
La Corte di Lussemburgo ha risposto così alle questioni seconda e terza sollevate dal Tribunale regionale di Sofia, confermando, per l’essenzialità[3] dell’indicazione del TAEG nei contratti con i consumatori, l’adeguatezza[4] di una siffatta sanzione e, implicitamente, la conformità al diritto dell’Unione della/e norma/e nazionale/i che la prevedono[5].
(iii) l’art. 4, § 2, della direttiva 93/13/CEE, deve essere interpretato nel senso che «clausole vertenti su servizi accessori a un contratto di credito al consumo, che attribuiscono al consumatore che acquista tali servizi una priorità nell’esame della sua domanda di credito e nella messa a disposizione della somma presa in prestito nonché la possibilità di dilazionare il rimborso delle rate mensili o di ridurne l’importo, non rientrano, in linea di principio, nell’oggetto principale di tale contratto, ai sensi di detta disposizione, e non sfuggono quindi alla valutazione del loro carattere abusivo».
Con questa dichiarazione la Corte di Giustizia ha risposto, invece, alla quarta questione postale dal Giudice sofiota, richiamando, a supporto, l’orientamento secondo cui «l’obbligo di remunerare servizi connessi all’esame, alla concessione e al trattamento del prestito o altri servizi analoghi inerenti all’attività del creditore occasionata dalla concessione del prestito non può essere considerato come rientrante tra le prestazioni essenziali risultanti da un contratto di credito»[6] e ciò anche laddove il costo di detti servizi debba essere incluso nel TAEG, poiché l’esatta portata della nozione di «oggetto principale», ai sensi dell’art. 4, § 2, della direttiva 93/13/CEE, non può essere determinata di quella di «costo totale del credito per il consumatore», ai sensi dell’art. 3, lett. g), della direttiva 2008/48/CE[7].
(iv) l’art. 3, § 1, della direttiva 93/13/CEE deve essere interpretato nel senso che «una clausola di un contratto di credito al consumo che consente al consumatore interessato di dilazionare o di riorganizzare le rate mensili del credito dietro pagamento di costi supplementari, anche qualora non sia certo che tale consumatore si avvarrà di tale possibilità, può avere carattere abusivo, laddove, in particolare, tali costi siano manifestamente sproporzionati rispetto all’importo del prestito concesso».
I Giudici di Lussemburgo hanno risposto così alla quinta questione sollevata dal Sofiyski rayonensad, portando a ragione che, sebbene il punto 1, lett. o), dell’allegato alla direttiva 93/13/CEE, al quale rinvia l’art. 3, § 1, della medesima, risulterebbe non riguardare una clausola di un contratto di credito che consente al consumatore interessato di dilazionare o di riorganizzare le rate mensili del credito dietro pagamento di costi supplementari, nei limiti in cui una siffatta clausola prevede un obbligo eventuale che il professionista è, in linea di principio, tenuto ad eseguire, in cambio dei costi corrispondenti a una maggiore flessibilità accordata al consumatore nell’esecuzione di tale contratto, «ciò non significa che una siffatta clausola non possa essere considerata abusiva, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE, se non è stata oggetto di negoziato individuale e se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto»; squilibrio che spetta al giudice nazionale accertare.
Avv. Domenico Pone
(riproduzione riservata)
[1] Uno – denominato «Fast» – che gli attribuiva una priorità nell’esame della sua domanda di credito e nella messa a disposizione dei fondi, la quale doveva avvenire entro 24 ore dal ricevimento, da parte del creditore, del contratto di credito firmato; un altro – denominato «Flexi» – che gli consentiva, invece, a determinate condizioni (inabilità al lavoro, risoluzione del contratto di lavoro, ferie non retribuite, perdita o di deterioramento di beni a seguito di una catastrofe o di decesso della persona che contribuisce al reddito familiare), la modifica del piano di rimborso iniziale.
[2] Conformemente all’art. 22 dello ZPK, in combinato disposto con l’art. 11, par. 1, p. 10, e con l’art. 23 dello ZPK, un contratto di credito al consumo che non indica il TAEG è nullo e non avvenuto, e il consumatore è debitore solo del valore netto del prestito, senza interessi o spese.
[3] Dalla giurisprudenza della Corte risulta che l’indicazione del TAEG nel contratto di credito riveste un’importanza essenziale, segnatamente nei limiti in cui consente al consumatore di valutare la portata del suo impegno (v., in tal senso, CGUE, Sezione IIIª, sentenza del 9 novembre 2016, Home Credit Slovakia a.s. c. Klára Bíróová (Causa C‑42/15), punti 67 e 70.
[4] Dall’art.23 della direttiva 2008/48/CE, letto alla luce del suo 47° considerando, risulta che, sebbene la scelta del regime sanzionatorio applicabile in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate a norma di tale direttiva venga lasciata alla discrezionalità degli Stati membri, le sanzioni previste devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive. Ciò implica che la severità di dette sanzioni deve essere adeguata alla gravità delle violazioni che esse reprimono, garantendo, in particolare, un effetto realmente dissuasivo, fermo restando il rispetto del principio generale di proporzionalità (v., in tal senso, CGUE, Sezione IIIª, sentenza del 9 novembre 2016, Home Credit Slovakia a.s. c. Klára Bíróová (Causa C‑42/15), punti da 61 a 63 e giurisprudenza ivi citata).
[5] Nel caso di specie gli articoli dello ZPK richiamati nella nota 1
[6] Cfr. CGUE, Sezione IVª, sentenza del 16 marzo 2023, Caixabank SA c. X (Causa C‑565/21), punti 18, 22 e 23 e giurisprudenza ivi citata.
[7] Cfr. CGUE, Sezione Iª, sentenza del 3 novembre 2020, Profi Credit Polska SA c. QJ, BW c. DR e QL c. CG (cause riunite C-84/19, C-222/19 e C-252/19), punto 69.