Vessatorietà della clausola floor: esclusa quando la formulazione è chiara e comprensibile
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N. 16/2024

Vessatorietà della clausola floor: esclusa quando la formulazione è chiara e comprensibile

(Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario, decisione n. 4137 del 4 aprile 2024)

Con decisione n. 4137 del 4 aprile 2024, il Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) si è espresso sulla qualificazione della clausola floor inserita in un contratto di credito concluso tra un intermediario ed un consumatore.

La clausola floor è quella clausola che, prevista nei contratti di mutuo e di leasing a tasso variabile, configura un limite percentuale al di sotto del quale gli interessi dovuti dal mutuatario non possono scendere, anche laddove si verifichi una sensibile riduzione dei tassi di interesse di periodo.

Il tasso di interesse applicato al prestito può variare in base ad un indice di riferimento che, nella maggior parte dei casi, è rappresentato dall’Euribor. In particolari periodi, vi è il rischio che il tasso applicabile al prestito scenda a livelli molto bassi ovvero negativi esponendo l’Istituto finanziatore a sostanziali perdite economiche per il mancato guadagno derivante dagli interessi sui mutui concessi.

Come evidente, la clausola floor ha lo scopo di salvaguardare la remuneratività del rapporto di mutuo, garantendo alla Banca che gli interessi siano almeno pari al valore percentuale previsto dalla stessa, e di impedire al mutuatario di beneficiare di un eccessivo calo di interessi durante l’esecuzione del rapporto.

Una simile pattuizione potrebbe comportare che il rischio connesso all’alea contrattuale ricada principalmente sul mutuatario con la conseguente creazione di uno squilibrio di diritti e obblighi tra Banca e cliente.

Il tema della vessatorietà della clausola floor è stato affrontato dalla giurisprudenza nazionale in un fervido dibattito che vede contrapposti due differenti orientamenti.

Il Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF), con la decisione in commento, si è conformato all’orientamento maggioritario asserendo che la clausola floor è esclusa dal vaglio di vessatorietà, ai sensi dell’art. 34 cod. cons., purché formulata in modo chiaro e comprensibile.

Il principio sancito dalla giurisprudenza dell’Arbitro Finanziario è specificatamente il seguente: «La clausola floor attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto e/o all’adeguatezza del corrispettivo e, pertanto, è esclusa dal vaglio di vessatorietà ai sensi dell’art 34, comma 2°, del codice del consumo, se formulata in maniera chiara e comprensibile».

L’organo giudicante, nella decisione in commento, ripercorre la normativa nazionale ed europea in tema di tutela del consumatore.

Il Codice del consumo tutela i contratti stipulati tra professionista e consumatore sancendo la vessatorietà delle clausole che, nonostante la buona fede, determinino a carico della “parte debole-consumatore” un significativo squilibrio di diritti e obblighi contrattuali (c.d. “squilibrio normativo”, art. 33, comma 1, cod. cons.).

La vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze sussistenti al momento della sua conclusione, nonché alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro contratto collegato (art. 34, comma 1, cod. cons.).

Tuttavia, la valutazione del carattere vessatorio della clausola «non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto, né all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile» (art. 34, comma 2, cod. cons.). Dunque, il vaglio di vessatorietà può riguardare l’assetto economico del rapporto contrattuale solo qualora la sua definizione non sia sufficientemente chiara e comprensibile.

La predetta normativa costituisce piena attuazione dell’art. 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CE secondo il quale «la valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

Il Collegio richiama la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, la quale, sebbene non abbia mai affrontato il tema della vessatorietà della clausola floor, si è occupata di interpretare il dettato normativo contenuto nella direttiva 93/13/CE.

Dall’analisi delle numerose decisioni della Corte, si desume che, con riferimento alla nozione di «oggetto principale del contratto», il divieto di valutare il carattere abusivo delle clausole del contratto dev’essere interpretato in maniera restrittiva.

Pertanto, tale divieto può essere applicato solo alle clausole che riguardano le prestazioni essenziali del contratto escludendo quelle che rivestono un carattere accessorio[1].

A tal proposito, la Corte sovranazionale specifica che è compito del giudice del rinvio verificare quando la clausola floor attiene ad una prestazione essenziale del contratto relativamente all’operazione economica e giuridica nel suo complesso.

Quanto alle clausole vertenti sulla «perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro», la Corte di Giustizia afferma che tale categoria «ha una portata ridotta, dato che l’esclusione in parola verte solo sulla congruità» del prezzo»[2].

Sotto il profilo consumeristico, la giurisprudenza nazionale afferma che la clausola floor rientra nel novero delle clausole determinative dell’oggetto del contratto oppure tra quelle relative all’adeguatezza del corrispettivo escludendo, di conseguenza, la sua assoggettabilità a un vaglio di vessatorietà in base all’art. 34, comma 2, cod. cons., salvo che non sia formulata in modo chiaro e comprensibile[3].

A sostegno della propria posizione, l’organo giudicante precisa, altresì, che, in tema di contratti stipulati con atto pubblico, la sottoscrizione di un mutuo fondiario per atto notarile esclude di per sé l’applicabilità della disciplina di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c[4].

Secondo l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, «le clausole contenute in un contratto di mutuo stipulate tramite rogito notarile sono da considerarsi chiare e conosciute perché oggetto di trattazione tra le parti, e di conseguenza non è possibile per il giudice constatarne a posteriore la vessatorietà»[5].

Contrario è l’orientamento sostenuto dalla Corte di Appello di Milano la quale, partendo dal presupposto che l’oggetto del contratto è rappresentato dalle clausole inerenti le prestazioni essenziali e che tra queste non è ricompresa la clausola floor, ha affermato la possibilità di sindacare la vessatorietà della stessa[6].

In tale prospettiva, la Corte meneghina ha concluso che una clausola floor, a meno che non sia “compensata” da una clausola cap o da una riduzione dello spread evidenziata in contratto, introduce un significativo squilibrio che non attiene alla convenienza economica, ma proprio ai diritti e obblighi derivanti dal contratto ed è quindi vessatoria ai sensi dell’art. 33, comma 1, cod. cons.

Conclusivamente, la clausola floor delimita la misura minima del tasso di interesse quale elemento essenziale del contratto rappresentante la remunerazione dell’intermediario a fronte del godimento del capitale da parte del soggetto finanziato.

Lo scopo della predetta clausola è quello di garantire una remunerazione minima derivante dall’operazione di finanziamento anche se l’andamento dei tassi di interesse dovesse diminuire sensibilmente il costo del denaro.

Alla luce di quanto sopra, considerato che la clausola floor è inerente all’oggetto del contratto ovvero all’adeguatezza del corrispettivo, la stessa sarà vessatoria solo se formulata in modo oscuro e incomprensibile contrariamente ai principi di chiarezza e trasparenza che regolamentano i rapporti tra professionista e consumatore.

Dott.ssa Domenica Caradonna

(riproduzione riservata)

 

 

[1] Sentenza CGUE C-395/21 del 12/01/2023; C-335/21 del 22/09/2022.

[2] Sentenza CGUE C-26/13 del 30/04/2014.

[3] App. Cagliari, n. 78 del 07/03/2023; App. Catania, sez. I, 13/07/2022, Trib. Nocera Inferiore, sez. I, n. 727 del 06/04/2023; Trib. Napoli, n. 1114 del 04/02/202; Trib. Spoleto, n. 532 del 21/09/2020.

[4] Cass. civ., sez. II, n. 15237 del 20/06/2017; App. Catania, sez. I, n. 1476 del 13/07/2022; Trib. Rimini, sez. I, n. 904 del 08/10/2021; Trib. Napoli, n. 1114 del 04/02/2021

[5] Cass. Civ., Sez. II, ord. N. 18275 del 25/06/2021

[6] App. Milano n. 558 del 17/02/2023; App. Milano n.2836 del 06/07/2022

 

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PUBBLICATO IL

02 / 06 / 2024

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