N. 26/2024
La Cassazione sull’estensibilità alle fideiussioni specifiche della nullità delle clausole contrattuali in violazione della normativa anticoncorrenziale
Con la recente sentenza n. 27243 del 21 ottobre 2024, la IIIª sezione civile della Corte di Cassazione affronta l’argomento della nullità delle clausole dei contratti di fideiussioni specifiche, alla luce della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 41994/2021.
Come noto, con tale pronuncia le Sezioni Unite hanno risolto un contrasto giurisprudenziale relativamente agli effetti conseguenti all’inserimento, nei contratti di fideiussione, di clausole conformi allo schema predisposto dall’ABI, nello specifico gli artt. 2, 6 e 8, dichiarato, con provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 02.05.2005, contrario alla normativa antitrust ed in particolare all’art.2 comma 2 lett. a) della L. n.287/1990.
Ricordiamo, per completezza, che le clausole richiamate fanno riferimento, per quanto concerne l’art.2 del citato schema ABI, alla clausola di reviviscenza secondo cui il fideiussore deve “rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo”; per quanto concerne l’art.6, alla clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c., in base al quale “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 c.c., che si intende derogato”; infine, con riferimento all’art.8, alla clausola di sopravvivenza, secondo cui “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”.
Il contrasto giurisprudenziale risolto dalle S.U. concerneva gli effetti dell’inserimento di dette clausole nei contratti di fideiussione, in particolare affermando il principio in base al quale “ i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge succitata e dell’art. 1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti”.
L’effetto della nullità parziale, affermato dalla Suprema Corte, in luogo della nullità assoluta prospettata da alcune pronunce di merito, risponde al “principio di conservazione” degli atti negoziali, valido nella generalità dei casi, salvo deroga nelle ipotesi in cui sia dimostrata la diversa volontà delle parti, nel senso dell’essenzialità – per l’assetto di interessi negoziato – della parte del contratto colpita da nullità.
Fatta questa doverosa premessa, va anche ricordato che i principi espressi dalle Sezioni Unite sono stati generalmente applicati, nella prassi, alle fideiussioni “omnibus”, con cui vengono garantite le obbligazioni genericamente assunte dalla parte debitrice nei confronti della creditrice; la motivazione risiede semplicemente nel fatto che il caso sottoposto alle Sezioni Unite era relativo ad una fideiussione omnibus, per cui, secondo l’opinione prevalente, non vi erano margini per un’interpretazione che estendesse tali effetti anche alle fideiussioni specifiche, riferite cioè a determinate obbligazioni assunte dal debitore.
Il dibattito, tuttavia, è rimasto aperto e diversi sono stati i ricorsi presentati nei giudizi di merito a sostegno di una possibile interpretazione estensiva; da ultimo, il caso sottoposto all’esame della III sezione civile della Corte di Cassazione, sfociato nella sentenza n. 27243/2024.
Con tale pronuncia, a ben vedere, la Suprema Corte non afferma espressamente un principio contrario all’interpretazione restrittiva secondo cui la nullità parziale riguarderebbe le sole fideiussioni omnibus ma, nel criticare le argomentazioni seguite dal Giudice d’appello, rileva come non vi siano, nella sentenza delle Sezioni Unite, indicazioni che impediscano di estendere i principi in essa affermati ai contratti di fideiussioni specifiche.
Nel breve inciso al par. 4.2 della richiamata sentenza, infatti, con riferimento al contratto impugnato dai ricorrenti, si legge: «né il giudice d’appello spiega perché non si tratterebbe di una fideiussione omnibus, a parte che – e questo è dirimente – S.U. 41994/2021 non richiede espressamente quest’ultima, bensì si riferisce ai contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, per cui se vi fosse la clausola nulla del modello ABI, quantomeno in parte qua il contratto sarebbe a valle».
Secondo la Corte, pertanto, il punto “dirimente” per la questione sollevata è che la sentenza della Sezioni Unite non distingue tra diversi tipi di fideiussione ma fa riferimento genericamente ai contratti “a valle”, cioè ai singoli contratti di fideiussione che contengono clausole che riproducono il contenuto di quelle dichiarate nulle per contrasto alla normativa anticoncorrenziale.
Non un principio di diritto, questo, ma sicuramente una spinta verso l’orientamento minoritario che sosteneva l’applicazione degli effetti di nullità parziale anche alle fideiussioni diverse dalle omnibus.
Attendiamo, in ogni caso, prese di posizioni più esplicite, in un senso o nell’altro, in modo da poter dirimere definitivamente la materia e consentire agli operatori del diritto di orientarsi con sicurezza anche in quest’ambito.
Avv. Daniela D’Agostino
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