N. 25/2024
Ammissibilità delle domande alternative del creditore nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo
Con sentenza n. 26727, emessa il 25 giugno 2024 e depositata in Cancelleria il 15 ottobre 2024, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, su disposizione ex art. 374, 2° comma, c.p.c. della Prima Presidente, alla quale, con ordinanza interlocutoria n. 20476 del 17 luglio 2023, erano stati rimessi gli atti dalla Prima Sezione Civile, hanno affermato il principio secondo cui, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, è ammissibile la proposizione da parte dell’opposto, nella comparsa di costituzione e risposta, di domande alternative a quella monitoria, anche laddove l’opponente non abbia avanzato domande – o sollevato eccezioni – riconvenzionali, purché dette richieste afferiscano alla vicenda sostanziale sottesa al ricorso per l’emissione dell’ingiunzione di pagamento ovvero siano sostenute dal – o rapportate al – medesimo interesse.
La pronuncia ha così composto una dissonanza, evidenziata dal Collegio remittente, tra gli indirizzi formatisi presso le Sezioni Semplici sul punto, dissociandosi da quello che negava, perché attore sostanziale, all’opposto la possibilità di formulare domande complanari nel proprio atto costitutivo, salvo il caso in cui, per effetto della domanda o dell’eccezione riconvenzionale proposta dall’opponente, egli non si fosse venuto a trovare a sua volta in una posizione processuale di convenuto, cui non poteva essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante un’eventuale reconventio reconventionis (cfr. Cass., Sez. Iª, 10 marzo 2021, n. 6579; Cass., Sez. IIª, 25 febbraio 2019, n. 5415; Cass., Sez. Iª, 22 giugno 2018, n. 16564) e confermando, invece, quello che ammetteva una tale facoltà, indipendentemente dal contegno processuale dell’opponente, laddove la richiesta alternativa fosse rientrata nella medesima area sostanziale su cui si fondava l’originaria (cfr. Cass., Sez. Iª, 24 marzo 2022, n. 9633).
L’arrêt ha di fatto esteso all’opposizione ex art. 645 c.p.c. – che ribadisce non essere «un’actio nullitatis o un’azione di impugnativa nei confronti dell’emessa ingiunzione, ma […] un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio, non quale giudizio autonomo, ma come fase ulteriore (anche se eventuale) del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo» (così Cass., Sezioni Unite, 13 gennaio 2022, n. 927) – l’orientamento espresso dalle medesime Sezioni Unite, con riferimento al giudizio di cognizione piena, nella sentenza del 15 giugno 2015, n. 12310[1], e in quella del 13 settembre 2018, n. 24404[2], precisando che «chi ha avviato il giudizio per via monitoria ha facoltà di introdurre nella comparsa di risposta le domande alternative che eventualmente intenda presentare, non potendo invece riservarle fino all’“ultimo giro” offerto dall’articolo 183, sesto comma, c.p.c.» – nel testo ratione temporis applicabile alla fattispecie in esame (nel testo introdotto dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, l’art. 183 c.p.c. non conserva la funzione di plasmare il thema decidendum all’udienza ivi prevista ed entro il termine della prima memoria, tale funzione essendo stata trasferita, mutatis mutandis, all’art. 171-ter, n. 1), c.p.c., con una evidente ratio di immediata determinazione della res iudicanda che disegna un cerchio di ritorno al sistema anteriore alla “riforma giurisprudenziale” del 2015) – e che «[f]ino a quest’ultimo, comunque, a seconda dell’evoluzione difensiva dell’opponente posteriore alla comparsa di risposta, gli sarà consentito proporre domande come manifestazioni di difesa, anche se non stricto sensu riconvenzionali».
Avv. Domenico Pone
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[1] Pronuncia che riconosceva la possibilità di modificare, nella memoria di cui all’art. 183 c.p.c., nella versione ratione temporis applicabile, la domanda originariamente proposta ai sensi dell’art. 2932 c.c. in quella di accertamento dell’avvenuta produzione dell’effetto traslativo, affermando che la modificazione della domanda consentita dall’art. 183 cit. potesse riguardare uno solo o anche entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), purché la domanda così modificata fosse risultata comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che perciò solo si determinasse una compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali.
[2] Decisione che estendeva le considerazioni di cui alla sentenza n. 12310/2015 anche al caso della domanda d’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento proposta a modifica di un’originaria domanda di adempimento contrattuale, rilevando che le due domande si riferissero alla medesima vicenda sostanziale, attenessero al medesimo bene della vita, tendenzialmente inquadrabile in una pretesa di contenuto patrimoniale, e fossero legate da un rapporto di connessione per incompatibilità non solo logica, ma addirittura normativamente prevista, stante il carattere sussidiario dell’azione di arricchimento.