N.28/2021
A partire dal 1° gennaio 2021 è entrata in vigore la normativa sulla nuova definizione di default (anche conosciuta come “New DoD”) avente l’obiettivo primario di armonizzare detta definizione nel panorama giuridico europeo.
Più nello specifico, l’armonizzazione è avvenuta ad opera del Regolamento Delegato UE n. 171/2018 e delle Linee Guida EBA/GL/2016/07, relative all’applicazione della definizione di default, già contenuta all’art. 178, comma 1, del c.d. Regolamento europeo CRR n. 575/2013.
In tale contesto, la normativa di matrice europea ha, inter alia, standardizzato sia i criteri volti a identificare le esposizioni debitorie scadute (Non Performing Loans – NPL), sia i criteri volti a rilevare le inadempienze probabili (c.d. Unlikely To Pay – UTP) sia, infine, i criteri affinché un’esposizione non performing possa ritornare in bonis.
Ciò premesso, dall’analisi della suddetta regolamentazione, vigente per tutti gli intermediari finanziari, appare evidente l’introduzione di criteri e modalità più stringenti rispetto alla normativa previgente.
Nello specifico, gli enti creditizi sono tenuti a classificare un debitore in stato di default qualora, alternativamente o congiuntamente, ritengano improbabile che, senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie, il debitore sia in grado di adempiere integralmente alla sua obbligazione, o qualora vengano registrate inadempienze rilevanti per 90 giorni senza soluzione di continuità.
In particolare, a partire da gennaio 2021, con riferimento agli NPLs, per inadempienza rilevante si intende il superamento congiunto della soglia di rilevanza relativa e della soglia di rilevanza assoluta.
La prima si calcola rapportando l’importo della rata scaduta da oltre 90 giorni con l’esposizione debitoria complessiva che il cliente vanta nei confronti dell’intermediario finanziario, la quale viene ridotta e fissata all’1% rispetto alla precedente soglia fissata al 5%. La seconda soglia, invece, viene fissata differentemente in € 100 o € 500 a seconda se trattasi rispettivamente di esposizioni retail (ovvero vantate nei confronti di persone fisiche o PMI) o di esposizioni vantate nei confronti di grandi imprese.
Occorre precisare che il conteggio dei 90 giorni consecutivi, necessari per far scattare lo stato di default, decorre non più dal giorno successivo a quello dell’inadempimento, come previsto sotto la previgente normativa, ma dal giorno successivo a quello di superamento di dette soglie.
Per di più, al fine di evitare la classificazione in default del cliente, la banca oggi non potrà più impiegare il credito ancora presente su eventuali altre linee di credito al fine di compensare gli inadempimenti in essere. L’istituto di credito è, quindi, obbligato a classificare il cliente come inadempiente anche in presenza di disponibilità su altre linee di credito non utilizzate.
La nuova disciplina si occupa, inoltre, di regolamentare la classificazione in stato di inadempienza relativamente alle obbligazioni congiunte, i.e. cointestazioni, introducendo alcune regole di propagazione automatica dello stato di default, come appena definito.
In particolare, è previsto che lo status di default venga automaticamente esteso a ciascun debitore cointestatario se la singola obbligazione cointestata è in default e se, congiuntamente, l’esposizione è di importo rilevante. Allo stesso modo, se tutti i cointestatari si trovano in stato di default, il contagio si applica anche all’obbligazione cointestata.
Con riferimento, invece, agli UTP sono state le Linee Guida dell’EBA a specificare quali elementi si considerano indicativi dell’improbabile adempimento, con la conseguenza che il cliente deve, anche in questo caso, essere classificato in default.
A titolo esemplificativo, e non esaustivo, vengono identificati come indicatori di improbabile adempimento: a) la presentazione dell’istanza di fallimento, o l’avvio di altra procedura analoga, da parte dell’ente affidante, del debitore o di altri soggetti interessati; b) la cessione del credito da parte dell’istituto di credito alla quale consegue una perdita significativa; c) l’interesse del debitore ad ottenere modifiche delle condizioni contrattuali del proprio debito o di rifinanziamenti.
Un’ulteriore novità rispetto alla normativa previgente è data dall’introduzione del c.d. cure period, preliminare alla classificazione della posizione debitrice da non performing a performing. Si tratta di un periodo di osservazione di 90 giorni, decorrenti dall’avvenuta regolarizzazione della morosità del debitore, nel quale quest’ultimo risulterà ancora classificato in stato di default. Solo al termine di detto periodo di osservazione, in presenza di un costante miglioramento della qualità del credito, quest’ultima verrà riclassificata in bonis.
Venendo ora ad evidenziare le possibili conseguenze derivanti dalla classificazione di un cliente in stato di default, è chiaro che per chi si venga a trovare in questa condizione l’istituto di credito possa bloccare gli addebiti automatici sui conti correnti per il pagamento di stipendi, utenze e/o bloccare l’utilizzo di carte di credito, almeno fin quando i conti non vengano coperti da liquidità sufficienti. Si tratta, tuttavia, di una scelta discrezionale della banca medesima, in quanto nulla impedisce a quest’ultima di consentire al proprio cliente l’utilizzo del conto corrente benché sconfinato.
Se poi al ricorrere dello stato di default del cliente consegue un’effettiva crisi finanziaria, e non una semplice morosità sanabile in breve tempo, le conseguenze saranno più gravi. Difatti, la banca potrebbe segnalare il cliente in CR e, di qui, alla CRIF.
A tal proposito, circa l’impatto della nuova definizione di default in tema di segnalazione a sofferenza in Centrale Rischi, prima dell’intervento chiarificatore di Bankitalia, si erano diffuse notizie non sempre accurate e veritiere. In particolare, si era erroneamente ritenuto che la classificazione di un cliente in stato di default comportasse per l’istituto affidante l’obbligo automatico di segnalare la sofferenza in CR.
Sul punto è intervenuta Bankitalia che con un provvedimento del 28.12.2020 rubricato “Chiarimenti sugli impatti della nuova definizione di default sulla Centrale dei Rischi”, dirimendo qualsivoglia fraintendimento, ha chiarito che la nuova definizione di default non modifica nella sostanza i criteri sottostanti alla segnalazione in CR, utilizzati dagli intermediari finanziari nel processo di valutazione del merito creditizio della clientela. Tutt’al più la nuova definizione di default potrebbe avere riflessi sulle relazioni creditizie fra gli intermediari e la loro clientela, la cui gestione, come in tutte le situazioni di default, può comportare l’adozione di iniziative per assicurare la regolarizzazione del rapporto creditizio.
In conclusione, a partire da gennaio 2021, una posizione debitoria che presenti arretrati superiori ai 90 giorni consecutivi oltre le soglie previste sopra riportate, sarà classificata tra le attività deteriorate, ma ciò non vorrà dire automatismo di segnalazione della sofferenza in CR.
Avv. Flavia Lo Forte
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