N. 20/2024
Beni ipotecati sottoposti a confisca e prova dell’affidamento incolpevole della banca creditrice
Con sentenza n. 840/2024, pubblicata il 21 giugno 2024, la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi delle condizioni in base alle quali il creditore ipotecario può sottoporre ad esecuzione forzata gli immobili, oggetto della garanzia reale, sottoposti a confisca.
Il ricorso, presentato da una società cessionaria di crediti bancari, avverso l’ordinanza del G.I.P. che aveva ritenuto prevalente la misura rispetto al diritto di pignorare gli immobili oggetto di garanzia ipotecaria, faceva perno, tra i motivi, sulla buona fede e sull’affidamento incolpevole dell’istituto di credito che aveva erogato il finanziamento, un mutuo fondiario, sulla base del quale era stata iscritta l’ipoteca.
In particolare, secondo la ricorrente, la banca aveva svolto le indagini e le verifiche richieste dai protocolli standard sulla situazione economica e reddituale del cliente, dalla quale non erano emersi elementi di sospetto; inoltre, il provvedimento di confisca degli immobili, dovuto all’accertamento di attività illecite penalmente rilevanti del debitore, era stato trascritto successivamente all’iscrizione dell’ipoteca volontaria, a riprova della buona fede della banca concedente.
La Corte, nel confermare le conclusioni del Tribunale, secondo cui l’istituto di credito aveva erogato il mutuo senza condurre un’adeguata istruttoria sull’entità del reddito del mutuatario basandosi su dati incoerenti con il reddito dichiarato da quest’ultimo, ha tuttavia rilevato l’errore in cui è incorso il giudice di primo grado, nel richiamare l’art. 52 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante il “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione…”, ed applicandolo analogicamente al caso di specie.
La suddetta norma, ricordiamo, al comma 1 prevede quanto segue:
“La confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro, ove ricorrano le seguenti condizioni:
a) che il proposto non disponga di altri beni sui quali esercitare la garanzia patrimoniale idonea al soddisfacimento del credito, salvo che per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione su beni sequestrati;
b) che il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, sempre che il creditore dimostri la buona fede e l’inconsapevole affidamento;
c) nel caso di promessa di pagamento o di ricognizione di debito, che sia provato il rapporto fondamentale;
d) nel caso di titoli di credito, che il portatore provi il rapporto fondamentale e quello che ne legittima il possesso.
Il Tribunale – ha rilevato la Corte – erroneamente aveva ritenuto che la tutela offerta dall’art. 52 in caso di anteriorità dell’iscrizione ipotecaria non si applicasse al caso concreto, poiché la società creditrice non aveva cercato ulteriori beni aggredibili del debitore, attività che, invero, non viene imposta al creditore il cui diritto sia assistito da privilegio, come nel caso del creditore ipotecario.
Errore che, tuttavia, non inficiava le conclusioni raggiunte con l’ordinanza impugnata, relativamente alla completezza delle verifiche compiute dalla banca in sede di erogazione del mutuo.
Riguardo a tali attività, ed ai principi di buona fede ed affidamento incolpevole dell’istituto erogante, la stessa Suprema Corte si era già espressa in altre pronunce, una tra tante la sentenza n. 39574 del 26 settembre 2019 dalla Corte di Cassazione, Iª Sez. Penale, ove veniva affermato che “se da un lato è evidente che l’ente creditizio non è titolare di autonome prerogative investigative, dall’altro la dimostrazione che deve essere fornita dal creditore concerne il livello di verifica – realizzata sulla base dei dati disponibili – delle caratteristiche soggettive del richiedente l’erogazione del mutuo, in punto di affidabilità e solvibilità derivante dalla capacità produttiva di reddito”.
Nello specifico, ha precisato la Cassazione, la dimostrazione della buona fede non può fondarsi sulla mera idoneità della garanzia reale (e dunque sul mero valore dell’immobile), posto che tale dato non assicura affatto che attraverso l’erogazione del mutuo non si realizzi un fenomeno di sostanziale ripulitura di capitali di provenienza illecita utilizzati al fine di sostenere le obbligazioni nascenti dal contratto.
In conclusione, secondo i richiamati principi giurisprudenziali, la buona fede invocabile dalla banca creditrice va intesa in termini di non conoscibilità, con l’uso della diligenza professionale richiesta, della utilità fornita, con l’erogazione del credito, al soggetto autore di atti illeciti e penalmente rilevanti; non può, in sintesi, ipotizzarsi una condizione di buona fede e di affidamento incolpevole allorquando un dato fatto illecito non sia stato conosciuto ma fosse comunque conoscibile secondo la specifica diligenza richiesta nelle operazioni bancarie.
Avv. Daniela D’Agostgino
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