N. 21/2023
Con la recentissima sentenza n. 8557 del 27 marzo 2023, le Sezioni Unite Civili sono state chiamate a pronunciarsi su una questione di particolare rilievo, al fine di comporre un contrasto giurisprudenziale in merito alla richiesta nei confronti del fallimento di attivazione di una garanzia reale posta a fondamento di un debito altrui.
La pronuncia in questione fa seguito all’ordinanza interlocutoria n. 18337 del 7 giugno 2022 che ha sottoposto all’attenzione delle Sezioni Unite svariati quesiti, tra cui quello relativo alla possibilità per il terzo titolare di ipoteca o di pegno su beni compresi nel fallimento, in virtù di una garanzia costituita per debito altrui, di far valere il proprio diritto con il procedimento di verificazione del passivo previsto dal Capo V, Titolo II della Legge Fallimentare, oppure soltanto mediante l’intervento nella fase di ripartizione del ricavato della vendita del bene gravato.
Le questioni poste dall’ordinanza interlocutoria si collocano all’interno del sistema del diritto fallimentare di cui al R.D. n. 267/1942.
Uno dei pilastri di tale sistema è costituito dall’art. 51 L.F. norma, secondo cui, salve diverse disposizioni di legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento.
La richiamata disposizione, che pone un divieto di natura obiettiva e che costituisce un riflesso applicativo del principio della concorsualità, ex art. 52 L.F., aiuta a comprendere come il dibattito che ha interessato la prelazione vantata dal titolare dell’ipoteca o del pegno su beni acquisiti alla procedura abbia investito non già il tema della possibilità, da parte del detto soggetto, di soddisfarsi, in sede fallimentare, sul bene oggetto della garanzia, possibilità che va senz’altro riconosciuta, quanto, piuttosto, le modalità processuali attraverso cui ciò debba avvenire.
Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha fornito negli anni pareri che possono definirsi sostanzialmente difformi.
Secondo un primo orientamento maggioritario, i crediti garantiti da diritti di prelazione su beni immobili compresi nel fallimento, vantati verso debitori diversi dal fallito, non possono essere oggetto del procedimento di verificazione, in quanto l’art. 52 L.F. sottopone ogni credito a concorso se il fallito si identifica con il debitore, mentre nella specie, essendo il fallito estraneo al rapporto obbligatorio, il debito corrispondente non può incidere sulla massa passiva.
In sintesi, per l’orientamento descritto, il creditore ipotecario manca di un titolo a intervenire nella fase di ammissione dei crediti, in quanto il suo credito non è verso il fallito; l’ipoteca, però, lascia integro il diritto a partecipare alla distribuzione del ricavato della vendita del bene, ove questa avvenga ad istanza di altri (cfr. Cassazione 30 gennaio 2009, n. 2429; Cass. 19 maggio 2009, n. 11545; Cass. 26 luglio 2012, n. 13289).
Tale orientamento ha trovato conferma anche dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 5/2016 e la modifica dell’art. 52 L. Fall.
La giurisprudenza successiva (cfr. Cass. n. 2540 del 2016) ha, infatti, confermato la preclusione dei soggetti titolari di diritti di garanzia dalla procedura di ammissione al passivo, escludendo che l’accertamento dei diritti di cui al secondo comma dell’art. 52 L. F. potesse estendersi ai diritti reali di garanzia costituiti dal terzo non debitore e osservando in ogni caso come l’accertamento di tali diritti non possa essere sottoposto alle regole del concorso, senza che sia instaurato il contraddittorio con la parte che si assume essere debitrice, dovendosi essi avvalere, per la realizzazione dei loro diritti in sede esecutiva, delle modalità di cui agli artt. 602-604 c.p.c. in tema di espropriazione contro il terzo proprietario.
Più di recente, invece, la Cassazione si è discostata da tale orientamento, riconoscendo il diritto dei terzi titolari di ipoteca ma non creditori del fallito a partecipare alla fase di formazione dello stato passivo (cfr. Cass. n. 2657 del 30 gennaio 2019).
Poggiando le sue fondamenta dalla rilettura delle modifiche introdotte dal D. Lgs. 5/2006, la Corte di Cassazione ha affermato che i titolari di diritti di ipoteca sui beni immobili compresi nel fallimento e già costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito devono avvalersi, ai sensi del novellato art. 52, comma 2, L.F. del procedimento di verificazione dello stato passivo di cui al capo V della L.F., considerato altresì che il nuovo art. 92 L.F. prevede che l’avviso circa la facoltà di partecipare al concorso sia comunicato non soltanto ai creditori, ma anche ai titolari di diritti reali o personali su beni mobili o immobili di proprietà o in possesso del fallito, avviso avente ad oggetto la facoltà di “partecipare al concorso” presentando domanda ai sensi dell’art. 93, ossia domanda di ammissione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili.
Il contrasto non è stato riproposto dalle successive pronunce, che risultano conformi alla linea di pensiero che si è venuta consolidando presso la Corte nel corso degli ultimi decenni.
La preclusione ad avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo è stata così di recente riaffermata con riguardo al creditore di soggetto, diverso dal fallito, che vanti un’ipoteca (Cass. 21 gennaio 2021, n. 1067) o un privilegio speciale (Cass. 25 maggio 2022, n. 16939) su beni ricompresi nel fallimento.
Aderendo all’orientamento giurisprudenziale maggioritario, le Sezioni Unite hanno enunciato i seguenti principi di diritto: “I creditori titolari di un diritto di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito non possono, anche dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 5 del 2006 e dal d.lgs. n. 169 del 2007, avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo di cui al titolo II, capo V della legge fallimentare, in quanto non sono creditori del fallito, né soggetti che agiscono per la restituzione o la rivendica dei beni acquisiti al fallimento.
I detti creditori possono intervenire nel procedimento fallimentare in vista della ripartizione dell’attivo per chiedere di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni compresi nella procedura che sono stati ipotecati o pignorati
Avverso il piano di riparto del curatore che escluda o includa (in tutto o in parte) il diritto del titolare della nuda prelazione alla distribuzione di dette somme, il creditore ipotecario o pignoratizio e, rispettivamente, gli altri creditori interessati al riparto del ricavato della vendita del bene possono proporre reclamo a norma dell’art. 110, comma 2, L.F.
Il reclamo può avere ad oggetto l’esistenza, la validità e l’opponibilità al fallimento della garanzia reale, avendo anche riguardo alla sua revocabilità, oltre che l’an e il quantum del debito garantito.
Tale accertamento non richiede la partecipazione al giudizio del debitore la cui obbligazione è garantita da ipoteca o da pegno e ha un valore endoconcorsuale, essendo, come tale, non opponibile al detto debitore, restato estraneo al procedimento fallimentare, in sede di rivalsa”.
La Suprema Corte ha confermato che, anche a seguito della riforma della legge fallimentare il titolare dell’ipoteca o del pegno su beni del fallito, che non sia creditore di quest’ultimo, ha l’onere di far valere la propria pretesa in sede concorsuale, non già attraverso una (inammissibile) domanda di insinuazione al passivo, ma domandando di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione del bene stesso.
La Cassazione evidenzia, dunque, che il credito garantito da diritto reale di garanzia su beni del fallito è inidoneo ad incidere sulla massa passiva poiché questo non è debitore, bensì solo terzo datore.
Essendo tale garanzia elemento accessorio di un debito gravante su persona diversa dal fallito, è possibile che la relativa obbligazione possa essere adempiuta in qualsiasi momento e, quindi, possa estinguersi o modificarsi anche dopo la conclusione del procedimento di verificazione dello stato passivo.
In ossequio al principio di economia processuale, appare dunque ragionevole procrastinare la soddisfazione del diritto del creditore ipotecario nei confronti del terzo datore al momento della distribuzione della somma ricavata, in quanto la vendita dell’immobile non pregiudica di per sé il diritto di garanzia che grava sullo stesso, fintanto che il creditore ipotecario è messo nelle condizioni, in quanto destinatario dell’avviso ex art. 107, comma 3, L.F., di intervenire in sede di riparto e godere della causa di prelazione.
In sede di riparto, il curatore avrà il compito di effettuare i dovuti accertamenti circa la validità, l’attualità, l’efficacia e la revocabilità della garanzia reale, nonché dell’esistenza del credito garantito, a norma dell’art. 95 L.F., non essendo mai stata la pretesa del titolare di nuda prelazione, sino a quel momento, oggetto di preventivo accertamento.
Dal momento che l’art. 110, comma 2, L.F. dispone che del deposito del progetto di distribuzione siano avvisati tutti i creditori, è indubbio che l’unico mezzo con cui il creditore ipotecario del terzo datore fallito potrebbe far valere eventuali contestazioni sia il reclamo di cui all’art. 36 L.F.
Inoltre, la Suprema Corte osserva che la tutela giurisdizionale offerta dallo stesso è pienamente funzionale ed attuativa del diritto di difesa costituzionalmente garantito, in quanto il reclamo, a norma dell’art. 36, commi 1 e 2, L.F., si estrinseca in un doppio giudizio di merito, dapprima dinanzi al giudice delegato e successivamente, qualora il provvedimento adottato dallo stesso fosse ritenuto insoddisfacente, dinanzi al Tribunale fallimentare.
Per ultimo, le Sezioni Unite evidenziano che l’accertamento del credito operato in sede di reclamo ha esclusivamente efficacia endoconcorsuale, implicando che tale accertamento incidentale non rappresenta un’ipotesi di contraddittorio necessario nei confronti del debitore garantito.
In conclusione, alla luce dei principi espressi, la risoluzione offerta dalle Sezioni Unite, in linea con l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, è pienamente funzionale ed attuativa del diritto di difesa e di economia processuale costituzionalmente garantiti e, a parere di chi scrive, quella più raziocinante e adeguata. (Riproduzione riservata)
Avv. Eliana Di Maria
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