Inammissibilità del piano del consumatore in caso di passivo promiscuo
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N. 28/2023

Inammissibilità del piano del consumatore in caso di passivo promiscuo

Sul tema della ristrutturazione dei debiti, si segnala una recente sentenza emessa dalla Corte di Appello di Bologna (n. 1351 del 21.06.2023), la quale ha soffermato l’attenzione sulla promiscuità del passivo in capo al debitore, e ciò in quanto il Giudice di prime cure (Tribunale di Reggio Emilia), aveva omologato un piano del consumatore nonostante i debiti in questione fossero, per l’appunto, promiscui.

Procedendo con ordine, vale la pena rammentare come debba definirsi “promiscuoquel genere di passivo derivante in parte dalla pregressa attività imprenditoriale del debitore, con conseguenze che, come si vedrà, si riverberano sulla possibilità di accedere al piano del consumatore disciplinato agli artt. 65 e ss., c.c.i.

Una compiuta analisi della valutazione circa l’ammissibilità o meno del piano, non potrà prescindere dalla definizione di «consumatore», puntualmente enunciata all’art. 2, co. 1, lett. e), c.c.i., e che vede quest’ultimo come «la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socia di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, per i debiti estranei a quelli sociali».

Può, dunque, facilmente desumersi che l’obbligazione, qualora sia – o sia stata – assunta per uno scopo inerente all’attività d’impresa, avrà natura commerciale, e ciò quand’anche il debitore dismetta l’impresa, il commercio o la professione.

Il motivo è da ravvisarsi nel fatto che lo scopo imprenditoriale che caratterizzava l’obbligazione si è definitivamente cristallizzato al momento stesso dell’insorgenza del debito.

Sulla scorta di ciò, è evidente che una decisione – riformata dalla Corte bolognese – come quella presa dal Tribunale di Reggio Emilia possa prestarsi ad abusi.

Si pensi, infatti, al caso della cessazione dell’impresa o della professione. Ebbene, in tale circostanza il commerciante (o il professionista) ben potrebbe ricorrere strumentalmente a tale cessazione, salvo riprendere l’attività all’esito dell’omologazione, al solo fine di usufruire dell’agevolazione del piano ex art. 67 e ss., c.c.i., ed evitare il voto dei creditori.

Il piano del consumatore, infatti, non prevede un voto da parte dei creditori, ma solo la possibilità di questi ultimi di presentare “osservazioni”, delle quali il Tribunale monocratico deve tenere conto al momento dell’omologazione.

Ad avviso della Corte, il provvedimento del giudice si pone quale unico presidio a tutela dei creditori, poiché solo all’autorità giudiziaria è rimesso il giudizio sull’ammissibilità giuridica e sulla fattibilità economica del piano, nonché sulla convenienza della proposta, che si traducono in una parziale estinzione del debito a prescindere dalla volontà dei singoli creditori: vantaggio (per il debitore) giustificabile solo in presenza di obbligazioni effettivamente contratte al di fuori dell’attività imprenditoriale o professionale, giacché solo queste ultime sono state assunte dal debitore quando si trovava «in una situazione di inferiorità rispetto al professionista» (CGUE, Sez. V, sent. 8 giugno 2023 di definizione della causa C-570/2021, I.S. e K.S. c. YYY S.A.).

In conclusione, l’art. 2, co. 1, lett. e), c.c.i., deve essere interpretato nel senso che, ove il passivo da ristrutturare sia promiscuo, i creditori devono essere necessariamente tutelati con l’attribuzione di un diritto di voto, ponendoli nella condizione di rifiutare la proposta del debitore mediante un atto di volontà, anche se espresso a maggioranza (rifiuto che impedisce l’omologazione ed è invece assente, come sopra detto, nel piano del consumatore).

 Avv. Filippo Furfaro

(riproduzione riservata)

 

 

 

 

 

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PUBBLICATO IL

11 / 09 / 2023

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