N.41/2022
Con la sentenza n. 7872/2022 la Corte di Cassazione ha riacceso il dibattito giurisprudenziale sul tema dell’onere probatorio gravante sugli istituti bancari nei procedimenti monitori: con la citata pronuncia la Corte ha rigettato il ricorso promosso avverso la decisione del Tribunale di Milano, sulla base del dettato disposto dall’art. 102 della vecchia legge bancaria (L.141/1938), ammettendo la possibilità per la banca di ottenere il provvedimento ingiuntivo anche in assenza della produzione dell’estratto conto, ovvero sulla scorta probatoria del semplice “estratto di saldaconto”, in deroga al principio sancito nell’art 50 TUB, secondo cui “la Banca d’Italia e le banche possono chiedere il decreto d’ingiunzione previsto dall’art. 633 del codice di procedura civile anche in base all’estratto conto, certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca interessata, il quale deve altresì dichiarare che il credito è vero e liquido”.
Nel caso di specie, infatti, la società ricorrente lamentava, al secondo motivo del ricorso, la violazione e falsa applicazione dell’art. 50 del TUB, deducendo l’erroneità della sentenza di primo grado per aver ritenuto idoneo il saldaconto, anziché l’estratto conto, ai fini dell’ottenimento del provvedimento monitorio.
Ed invero, i Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto tale motivo infondato, assumendo che “il decreto ingiuntivo ben può essere richiesto dalla banca anche sulla base dell’estratto di saldaconto, che nella fase monitoria è prova idonea a ottenere l’emissione dell’ingiunzione di pagamento”.
La Suprema Corte, nel suo decisum si spinge oltre ed afferma che l’estratto di saldaconto – ricorrendo determinate condizioni – può estendere tale efficacia probatoria in merito al credito vantato nel giudizio di opposizione a cognizione piena introdotto con l’opposizione al decreto monitorio.
In ogni caso – precisa la Corte – ove poi si censuri l’illegittimità del decreto ingiuntivo perché emesso sulla base del mero saldaconto e non dell’estratto conto, “la censura – nel caso de quo – è comunque infondata poiché la questione è superata dall’avvenuta produzione, nel giudizio di opposizione, degli estratti conto. Questi, infatti, ben possono valere come prova sufficiente della sussistenza del credito, e nel giudizio di opposizione, a cognizione piena, il creditore può provare il suo credito indipendentemente dalla legittimità, validità ed efficacia del provvedimento monitorio”.
La pronuncia in commento si fonda sull’assunto secondo cui nel giudizio di opposizione l’istituto bancario deve provare il proprio diritto di credito con documenti ulteriori e diversi dall’estratto conto (quali ad es. il contratto, il relativo piano di ammortamento, i tassi concordati nelle condizioni economiche del contratto) al fine di dimostrare gli elementi costitutivi del proprio credito sin dall’origine del medesimo; di contro, in sede di opposizione all’ordinanza ingiunzione, parte opponente dovrà fondare la propria domanda provando ed allegando fatti impeditivi o modificativi o estintivi del diritto di credito azionato dalla Banca.
Dunque, la ratio sottesa alla decisione della Suprema Corte e della normativa richiamata nel caso di specie va ravvisata nella volontà di contemperare le esigenze dei due soggetti protagonisti: tutelare da un lato il creditore, attraverso i tempi rapidi di una cognizione sommaria e scevra da eccessivi formalismi; dall’altro il debitore, consentendo allo stesso – attraverso l’esame dell’estratto conto – una maggiore e più consapevole conoscenza delle risultanze contabili su cui il ricorrente fonda la richiesta del provvedimento monitorio.
Avv. Claudia Candreva
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