N. 42/2022
Sempre più frequentemente in ambito di misure di prevenzione dettate dal D.Lgs. n. 159 del 2011, i crediti vantati da banche o da società veicolo, subiscono contestazioni circa la strumentalità illecita del credito erogato e la carenza di buona fede che, di fatto, ne ostacolano fortemente la recuperabilità.
Infatti, è demandato al Giudice Penale il controllo del contegno tenuto dalla banca in occasione della concessione del finanziamento bancario a soggetto poi risultato coinvolto in attività criminose, verificando se la stessa abbia operato con la dovuta diligenza imposta dal ruolo, mettendo in atto tutti quegli accorgimenti, imposti dalla disciplina di riferimento, che avrebbero determinato l’emersione delle situazioni in fatto destinate a disvelare la strumentalità criminosa.
In tale ambito si inserisce la recentissima sentenza in commento resa dalla Suprema Corte – Cass. Pen. Sez. II, n. 44895 del 08.11.2022 dep. 25.11.2022.
Nel caso de quo la Corte di Cassazione con la summenzionata statuizione ha cassato senza rinvio l’ordinanza del 13.12.2021 resa dal Tribunale Penale di Bologna, che respingeva le domande formulate da due istituti di credito e da una società cessionaria spv di ammissione al passivo ex art. 52 D.Lgs. n. 159 del 2011 inerenti le utilità ascritte e confiscate ad un soggetto condannato per il reato di associazione di stampo mafioso nel maxi-processo “Aemilia”.
Per il Giudice bolognese, infatti, erano stati omessi i necessari controlli da parte delle banche che potevano fare emergere il modus operandi delle imprese, i collegamenti tra le stesse, il coinvolgimento anche di altri indagati; circostanze tali da dovere escludere la buona fede anche in ragione del considerevole importo dei mutui erogati.
Avverso la predetta ordinanza proponevano ricorso per Cassazione sia gli istituti di credito che la società cessionaria Spv.
Fra i motivi di ricorso, veniva dedotta principalmente la violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) c.p.p. per erronea interpretazione dell’art. 52 D.Lgs. n. 159 del 2011 in relazione sia al concetto di buona fede che al concetto di strumentalità del finanziamento.
Infatti, i ricorrenti deducevano che la prova della buona fede degli operatori bancari doveva desumersi dalla regolarità delle attività di istruzione della pratica secondo le comuni regole e prassi bancarie nonché dal rispetto della normativa antiriciclaggio, circostanze – queste – tutte diligentemente osservate.
Gli elementi emersi, solo successivamente, nel procedimento penale circa l’affiliazione dei soggetti coinvolti non potevano dimostrare che alla data degli affidamenti tali elementi fossero noti agli istituti bancari sicché nessuna prova era stata data di un’effettiva negligenza.
Dello stesso parere dei ricorrenti anche la Suprema Corte che con la sentenza in commento ha annullato senza rinvio il provvedimento impugnato, ammettendo allo stato passivo i crediti vantanti dagli istituti di credito e dalla Svp poichè dagli elementi emersi in giudizio non è stato provato che siano state violate le regole di diligenza per la concessione degli affidamenti bancari nella fase istruttoria e di concessione del mutuo (a titolo esemplificativo: omessa valutazione dei profili di rischio – concessione di prestiti per importi superiori alle garanzie – mancanza di fideiussioni od altre garanzie reali ecc.) ed anzi, è stato evidenziato come la concessione dei mutui sia avvenuta in un arco temporale in cui non c’erano elementi sufficienti dai quali desumere il coinvolgimento in attività criminose.
Concludendo, pertanto, anche la cessionaria Spv al pari dell’istituto di credito potrà tutelare le ragioni creditorie in sede penale, purché dimostri l’assenza della strumentalità illecita del credito erogato nonché la buona fede della banca cedente a soggetto risultato solo successivamente coinvolto in attività illegali.
Avv. Antonino Sanzone
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