N. 42/2023
La soddisfazione del creditore ipotecario nel giudizio di divisione
Nel presente articolo analizzeremo l’ipotesi in cui di un bene immobile, oggetto di esecuzione, più soggetti, non tutti debitori del creditore procedente e di quelli eventualmente intervenuti, risultino titolari ed il bene medesimo non sia comodamente divisibile o fisicamente frazionabile e, dunque, sia impossibile realizzare delle porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento.
Il codice civile, all’articolo 1111, stabilisce che «Ciascuno dei partecipanti può sempre domandare lo scioglimento della comunione […]». Per sciogliere la comunione la legge ha quindi previsto l’istituto della divisione. Può accadere, infatti, che l’esecuzione forzata colpisca uno o più beni indivisi, ossia beni che appartengono al debitore soltanto pro quota. In ogni caso, qualora il pignoramento colpisse la quota di uno solo o di alcuni dei comproprietari, vengono inevitabilmente coinvolti nella vicenda espropriativa tutti i soggetti estranei alla situazione debitoria, la cui sfera giuridica viene incisa in maniera più o meno significativa dall’espropriazione della quota.
Lo strumento processuale per attuare tale finalità è rappresentato dall’avviso previsto dagli artt. 180 disp. att. c.p.c. e 599 c.p.c. che il creditore procedente ha l’onere di notificare ai comproprietari. La notificazione dell’avviso si configura elemento accessorio la cui mancanza non determina la nullità del pignoramento ma solo il venir meno del principale effetto che consegue alla stessa: la preclusione della facoltà di procedere alla divisione del bene. Il principale effetto prodotto dall’avviso in commento è, infatti, quello di rendere da tale momento inopponibile alla procedura una eventuale divisione volontaria che potrebbe essere attuata in frode ai creditori o, comunque, in loro pregiudizio
Individuata la fattispecie, le norme rilevanti per la soluzione sono l’art. 1113, 3° comma, c.c., nella parte in cui dispone che «devono essere chiamati a intervenire, perché la divisione abbia effetto nei loro confronti, i creditori iscritti e coloro che hanno acquistato diritti sull’immobile in virtù di atti soggetti a trascrizione e trascritti prima della trascrizione dell’atto di divisione o della trascrizione della domanda di divisione giudiziale» e il 3° comma dell’art. 2825 c.c., che stabilisce «i creditori ipotecari di un partecipante al quale siano state attribuite somme di denaro in luogo di beni in natura «possono far valere le loro ragioni su tale somma, con prelazione determinata dalla data di iscrizione o trascrizione dei rispettivi titoli»; e il 4° comma dell’art. 2825 c.c., secondo cui “i debitori delle somme dovute al partecipante alla divisione sono liberati qualora «…le abbiano pagate al condividente dopo trenta giorni da che la divisione è stata notificata ai creditori ipotecari…senza che da costoro sia stata fatta opposizione». Le norme predette, infatti, dispongono che il creditore ipotecario è litisconsorte necessario nel processo di divisione e che, nell’ipotesi in cui muti l’oggetto dell’ipoteca (si verifichi, cioè, il fenomeno della c.d. “surrogazione reale impropria”), il creditore possa soddisfarsi sulla somma di denaro o, se si vuole, sul credito, che ha sostituito il bene gravato da ipoteca.
Con la riforma attuata con la L. n. 80 del 14 maggio 2005 la gerarchia delle modalità di scioglimento della comunione è stata sovvertita giacché la scelta tra la separazione della quota in natura e la instaurazione del giudizio di divisione è divenuta la regola, mentre la vendita della quota indivisa rappresenta ora l’eccezione. Dispone, infatti, l’attuale art. 600 c.p.c. che «Se la separazione in natura non è chiesta o non è possibile, il giudice dispone che si proceda alla divisione a norma del Codice civile, salvo che ritenga probabile la vendita della quota indivisa ad un prezzo pari o superiore al valore della stessa, determinato a norma dell’art. 568 c.p.c.».
Tre sono, dunque, nell’ordine sopra detto, le possibilità previste dalla norma sopra citata: la separazione della quota in natura, l’instaurazione del giudizio di divisione o la vendita della quota indivisa.
La separazione della quota in natura richiede un’espressa istanza che può provenire da tutti i comproprietari o da un creditore. Il giudice dell’esecuzione non può disporre d’ufficio la separazione neppure quando sia materialmente possibile. «La separazione in natura consiste nel distacco dal bene pignorato pro quota di una porzione materiale di valore proporzionale alla quota sull’intero bene spettante al debitore pignorato, da assegnarsi a quest’ultimo in proprietà esclusiva sotto il vincolo del pignoramento. Per effetto della separazione, l’esecuzione prosegue sulla sola porzione assegnata e nei soli confronti del debitore, mentre il residuo compendio pignorato resta in proprietà indivisa tra gli altri comproprietari, che sono estromessi dal processo esecutivo, ed è liberato dal pignoramento. […] si tratta quindi di una divisione a stralcio, disposta ed eseguita all’interno del processo esecutivo mediante ordinanza del giudice» (Astuni 2006, 542).
La vendita della quota indivisa è oggi pressoché inutilizzata in considerazione del fatto che i beni posti in vendita pro quota hanno una percentuale di vendibilità bassissima; e d’altro canto, proprio lo scarso interesse del mercato per la quota indivisa, induce solitamente i contitolari interessati a non partecipare immediatamente all’asta, ma ad attendere il ribasso del prezzo base, per ottenere poi l’aggiudicazione della quota ad un prezzo irrisorio. La vendita della quota indivisa è praticabile soltanto laddove il giudice dell’esecuzione ritenga che il ricavato ottenibile sarà pari o superiore al valore della quota come determinato a norma dell’art. 568 c.p.c.
L’alternativa alla separazione della quota in natura è, come detto, l’instaurazione del giudizio di divisione, propriamente finalizzato a far cessare lo stato di comunione.
Il giudizio in questione si svolge nelle forme del rito ordinario dinanzi al Giudice dell’esecuzione, funzionalmente competente ex art. 181 disp. att. c.p.c. A seguito dell’instaurazione del giudizio di divisione l’esecuzione forzata è sospesa in ragione del rapporto di pregiudizialità tra i due procedimenti.
Con una recente decisione il Tribunale di Busto Arsizio 15.5.2019 ha riconosciuto ai creditori dei condividenti, il trasferimento del vincolo ipotecario sulla somma di denaro ricavata dalla vendita dell’immobile pignorato oggetto di divisione, con conseguente assegnazione delle rispettive somme ad essi spettanti in virtù del loro grado e quota ipotecaria. In particolare, nel caso esaminato, i debitori sono una società dichiarata fallita, i suoi soci illimitatamente responsabili e altre due persone non dichiarate fallite e il bene esecutato è in comunione fra i predetti obbligati. Pertanto, a seguito della divisione giudiziaria del bene, attesa la presenza nel giudizio del Fallimento, i creditori hanno chiesto l’assegnazione diretta del ricavato della vendita, rispondente alla quota percentuale dei comproprietari non falliti.
Il citato Tribunale ha, dunque, applicato i principi statuiti dall’art. 2825 c.c., secondo il quale, a norma del 4 comma, i creditori ipotecari e i cessionari di un partecipante alla comunione, al quale siano stati assegnati beni diversi da quelli ipotecati, possono far valere le loro ragioni anche sulle somme di denaro a lui attribuite in luogo dei beni in natura, vedendo, comunque, riconosciuto il grado ipotecario derivante dalla data di iscrizione o di trascrizione dei titoli, nonché il valore dei beni precedentemente ipotecati.
Avv. Ada Anselmo
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