N. 35/2023
L’art. 41, comma 2, t.u.b. è applicabile alla procedura di liquidazione controllata disciplinata dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza?
In assenza di un precedente di legittimità, la risposta al quesito offerta dai giudici di merito non è uniforme:
(i) secondo i Tribunali di Verbania (20 dicembre 2022), Treviso (19 gennaio 2023) e Modena (3 marzo 2023) il privilegio processuale riconosciuto al creditore fondiario troverebbe applicazione con riguardo alla liquidazione giudiziale, essendo l’art. 41, comma 2, t.u.b. norma speciale, non suscettibile di applicazione analogica ai sensi dell’art. 14 Preleggi. Secondo detti Giudice, il richiamo all’art. 150 c.c.i.i. operato dall’art. 270, comma 5, c.c.i.i., varrebbe quale regola generale rappresentata dal divieto di avvio o prosecuzione delle azioni esecutive, non anche di salvezza delle norme di deroga o di eccezione, che dovrebbero pertanto intendersi operanti solo per i casi, esplicitamente ed originariamente, in esse considerati.
(ii) secondo i Tribunali di Barcellona Pozzo di Gotto (24 gennaio 2023), di Torre Annunziata (14 marzo 2023) di Brescia (12 aprile 2023), invece, il privilegio opererebbe anche in caso di apertura della procedura di liquidazione controllata.
La seconda opzione pare alla scrivente quella più condivisibile e tanto per le motivazioni offerte in particolare nella pronuncia del Giudice oplontino ove si afferma che «l’espressione “salvo diversa disposizione di legge” contenuta nell’art. 150 [c.c.i.i.] si rivelerebbe priva di significato laddove non fosse letta nel senso che, dal deposito della domanda di liquidazione controllata, le sole procedure esecutive che possono proseguire sono quelle che, per espressa previsione di legge, possono continuare nonostante il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) dell’esecutato. In tal modo opinando, si assicura una coerenza al sistema, altrimenti evidentemente minata dall’impossibilità di rinvenire qualsivoglia giustificazione al diverso trattamento che (seguendo la diversa interpretazione) il creditore fondiario (e, specularmente, il debitore) riceverebbero nella liquidazione controllata (dove questi dovrebbe fermarsi) e nel fallimento (dove, invece, potrebbe proseguire). Laddove l’art. 270 [c.c.i.i.] avesse stabilito che, salvo diversa disposizione di legge, dal giorno di apertura della liquidazione controllata, nessuna procedura esecutiva individuale potesse essere iniziata o proseguita, l’art. 41 [t.u.b.] sarebbe stato certamente inapplicabile, poiché fa riferimento inequivocabilmente al fallimento: quello che il legislatore ha inteso operare nel caso di specie è, invece, un integrale rinvio (di tipo recettizio) all’art. 150 [c.c.i.i.], che contiene in sé una regola, ma anche la sua eccezione (le diverse disposizioni di legge dallo stesso richiamate). Il richiamo che l’art. 270, 5 comma, [c.c.i.i.] fa all’art. 150 [c.c.i.i.] è da intendersi, dunque, riferito anche alle diverse disposizioni di legge che l’art. 150 fa espressamente salve, le quali, ovviamente, costruite quali deroghe all’art. 150 [c.c.i.i.] (51 l.fall.), non possono che essere eccezioni alla regola della improseguibilità per intervenuto fallimento.
«Il legislatore della novella, nell’art. 270 c.c.i.i., non si è limitato a riprodurre il testo del previgente art. 14-quinquies, co. 2, lett. b), della [legge 27 gennaio 2012, n. 3], ma ha operato una vera e propria modifica che non può che segnare, come è stato sostenuto in dottrina, una rilevante discontinuità con la disciplina previgente.
«Come detto, l’art. 14-quinquies della [legge 27 gennaio 2012, n. 3], impediva che qualsiasi azione esecutiva avesse luogo sul patrimonio del debitore dopo l’apertura della procedura per la composizione della crisi; viceversa, l’art. 270, 4 comma, [c.c.i.i.] si limita a richiamare l’applicazione, in quanto compatibile, degli artt. 150 e 151 [c.c.i.i.], dovendosene inferire la conclusione che, nella disciplina del sovraindebitamento dettata dal Codice della crisi d’impresa, c’è spazio per l’azione esecutiva individuale del creditore fondiario, trovando applicazione la regola generale della liquidazione giudiziale, anziché quelle dettate per il concordato minore o per il concordato preventivo.
«È appena il caso di evidenziare che la giurisprudenza formatasi nella vigenza della [legge 27 gennaio 2012, n. 3] aveva, a più riprese, sottolineato, per escludere l’operatività del privilegio fondiario con riferimento alla liquidazione controllata, come, nell’ambito della [legge 27 gennaio 2012, n. 3], non si potesse rinvenire una disposizione espressa simile all’art. 41, 2 comma, [t.u.b.] né vi fosse un rinvio alla detta norma e che, anzi, l’art. 14-quinquies, 2 comma, [legge 27 gennaio 2012, n. 3], nella parte in cui prevede che il giudice “dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azione cautelari o esecutive”, costituisse una disposizione di chiaro segno contrario, vietando l’inizio o la prosecuzione di azioni individuali, al di fuori del regime concorsuale (v. Trib. Como 23 maggio 2019 secondo cui “l’art. 41, comma 2, [t.u.b.] concede al creditore titolare di credito fondiario un privilegio di natura processuale limitato al fallimento e che non può essere esteso a differenti procedure”; Trib. Modena 1° giugno 2017 per cui “l’art. 41 [t.u.b.] riserva al creditore titolare di credito fondiario un privilegio procedimentale limitato al fallimento, e non esteso ad ogni diversa procedura concorsuale. Trattasi di norma di stretta interpretazione, inapplicabile a fattispecie diverse da quelle contemplate. In particolare, nella procedura di liquidazione ex art. 14-quinquies [legge 27 gennaio 2012, n. 3] (che tra l’altro è norma speciale e posteriore) l’interferenza con le procedure esecutive individuali è autonomamente disciplinata, senza alcun rinvio a norme della legge fallimentare e senza alcun riconoscimento di deroghe al principio di assoluta prevalenza della procedura concorsuale”). Ebbene, appare piuttosto evidente come l’ostacolo che, a livello interpretativo, si ravvisava all’operare dell’estensione sia venuto meno: il rinvio che mancava nella disciplina previgente oggi esiste ed è quello contenuto nell’art. 270 [c.c.i.i.] che, per quanto sopra detto, non può intendersi riferito solo alla regola, ma anche alla eccezione ivi richiamata».
Dott.ssa Maria Francesca Alessandri
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