N. 43/2022
Con ordinanza interlocutoria n. 4117 del 9 febbraio 2022 le Sezioni Unite sono state chiamate a dirimere l’annoso contrasto giurisprudenziale formatosi in materia di violazione del limite di finanziabilità previsto dall’art. 38, secondo comma, del Testo Unico Bancario e, in particolare, circa le sorti del contratto di mutuo fondiario concesso per un importo superiore all’ottanta percento del valore del bene dato in garanzia, quale limite statuito dalla delibera CICR del 1995 della Banca d’Italia.
Invero, l’orientamento maggioritario affermatosi sino al 2017 ha escluso quale conseguenza della violazione del limite di finanziabilità, l’applicazione della sanzione della nullità prevista ex art. 117 T.U.B. ritenendo che la stessa non incida sul sinallagma contrattuale e, quindi, sulla la validità dello stesso, ma investa esclusivamente il comportamento della Banca tenuta ad attenersi al limite prudenziale ivi stabilito.
Secondo questa impostazione, l’art. 38 del T.U.B. si pone come norma di buona condotta a tutela del sistema bancario con lo scopo di evitare che vengano erogati mutui non adeguatamente garantiti, la cui violazione comporta unicamente l’erogazione di sanzioni amministrative a carico dell’istituto di credito.
Detto orientamento è stato sottoposto a critica dalla sentenza n. 17352 del 2017 secondo la quale il superamento del limite di finanziabilità afferisce non solo sul versante del comportamento dell’istituto di credito, quanto e soprattutto sull’oggetto del finanziamento fondiario, incidendo sulla struttura negoziale in quanto si inserisce tra gli elementi essenziali perché un contratto di mutuo possa essere qualificato come fondiario.
Secondo questa diversa impostazione, infatti, la soglia stabilita per il finanziamento fondiario ha la funzione di regolare il quantum della prestazione creditizia e la cui la ratio non è da ricondursi alla tutela privatistica della stabilità patrimoniale della banca bensì, attesa la ripercussione che tali tipologie di finanziamenti rivestono sull’economia nazionale, alla tutela dell’interesse economico nazionale.
La violazione, così intesa, incide pertanto sul sinallagma contrattuale determinando la nullità del contratto di mutuo fondiario che, per il principio di conservazione degli atti giuridici, si convertirebbe in mutuo ipotecario ordinario, ricorrendo le condizioni dell’art. 1424 c.c.
È in questo panorama giurisprudenziale che si è inserita la pronuncia delle Sezioni Unite le quali, in particolare, si sono dapprima soffermate sugli indici sintomatici della imperatività della norma che, secondo il Collegio, è ravvisabile laddove la disposizione disciplina direttamente e chiaramente il contenuto specifico ed essenziale del sinallagma contrattuale, prima di ogni valutazione inerente alla caratura dell’interesse protetto ed eventualmente leso, e la cui mancanza o difformità renderebbe nullo il contratto.
Al contrario, non si può essere considerata imperativa una norma che contiene elementi meramente specificativi, integrativi o accessori di uno dei requisiti del contratto.
Con la conseguenza che “la nullità è predicabile per violazione di norme di fattispecie o di struttura negoziale solo se immediatamente percepibile dal testo contrattuale, senza laboriose indagini rimesse a valutazioni tecniche opinabili compiute ex post da esperti del settore”, altrimenti – afferma il Collegio – si esporrebbe il contratto di mutuo ad “intollerabili incertezze derivanti da eventi successivi”.
Premessa questa distinzione, secondo le Sezioni Unite, l’art. 38 T.U.B. rientrerebbe in questa seconda categoria posto che non si può ritenere imperativa una norma che prevede un requisito a pena di nullità senza fornire gli elementi per definirlo: né l’art. 38 T.U.B., né la norma secondaria attuativa (con deliberazione della Banca d’Italia) specificano, infatti, i “criteri di stima del valore dell’immobile, cui è rapportato in via percentuale l’ammontare massimo del finanziamento”.
Per altro profilo, la natura di norma imperativa dell’art. 38 TUB viene esclusa alla luce dell’interesse protetto che, nella specie, trattandosi di preservare la stabilità patrimoniale degli istituti di credito e impedire il verificarsi di situazioni di squilibrio tra concessione di credito e garanzie acquisite “non rientra nella categoria dei preminenti interessi generali della collettività o dei valori giuridici fondamentali”.
Sulla scorta di queste considerazioni il Collegio è giunto ad affermare che “In tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità di cui all’articolo 38, secondo comma, del d.lgs. n. 385 del 1993, non è elemento essenziale del contenuto del contratto, non trattandosi di norma determinativa del contenuto del contratto o posta a presidio della validità dello stesso, ma di un elemento meramente specificativo o integrativo dell’oggetto del contratto; non integra norma imperativa la disposizione – qual è quella con la quale il legislatore ha demandato all’Autorità di vigilanza sul sistema bancario di fissare il limite di finanziabilità nell’ambito della «vigilanza prudenziale»”.
Quanto alle conseguenze del superamento del limite di finanziabilità, secondo le Sezioni Unite è esclusa la nullità del contratto posto che detta sanzione ricorre solo quando la violazione della norma imperativa pone il contratto in contrasto con l’interesse specifico che la norma stessa intende salvaguardare.
La declaratoria di nullità finirebbe per pregiudicare, da una parte, proprio l’interesse tutelato dalla norma quale la stabilità patrimoniale della banca il contenimento dei rischi nella concessione del credito e, dall’altra, quello del mutuatario, che si vedrebbe costretto a restituire immediatamente le somme prese a prestito, con tutte le conseguenze sul proprio patrimonio e sulla sua attività di impresa.
Quanto, invece, alla tesi della diversa qualificazione del mutuo esondante il limite di finanziabilità, il Collegio si è espresso in modo critico circa la conversione da fondiario a ipotecario, con disapplicazione dei privilegi previsti dal Testo Unico Bancario e ha pronunciato il seguente principio di diritto: “qualora i contraenti abbiano inteso stipulare un mutuo fondiario corrispondente al modello legale (finanziamento a medio o lungo termine concesso da una banca garantito da ipoteca di primo grado su immobili), essendo la loro volontà comune in tal senso incontestata (o, quando contestata, accertata dal giudice di merito), non è consentito al giudice riqualificare d’ufficio il contratto, al fine di neutralizzarne gli effetti legali propri del tipo o sottotipo negoziale validamente prescelto dai contraenti per ricondurlo al tipo generale di appartenenza (mutuo ordinario) o a tipi contrattuali diversi, pure in presenza di una contestazione della validità sotto il profilo del superamento del limite di finanziabilità, la quale implicitamente postula la corretta qualificazione del contratto in termini di mutuo fondiario”.
Avv. Ilaria Piroddi
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