N. 8/2024
Nelle ipotesi di illegittima segnalazione alla Centrale Rischi, il danno causato non genera un “automatico” risarcimento
Il diritto al risarcimento del danno non discende solo dalla condotta contestata, ma presuppone che il danneggiato fornisca prova del pregiudizio subito. In ambito civile, infatti vige il criterio del “più probabile che non” per l’accertamento del nesso eziologico tra fatto e danno.
Il presente articolo analizza la vicenda di una società correntista che lamentava che la banca convenuta avesse tardato a cancellare l’errata segnalazione del proprio nominativo in Centrale Rischi, causandole dei danni, dei quali voleva essere risarcita. In tribunale la domanda veniva rigettata per carenza di prova e, cosi, la società proponeva appello. La corte tuttavia confermava la decisione del giudice di primo grado, ribadendo come il danno (patrimoniale o non patrimoniale) sia risarcibile soltanto quando, alla domanda di risarcimento, venga allegata prova dei danni concretamente subiti. Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha escluso che, in caso di illegittima segnalazione in Centrale Rischi, il danno possa essere considerato in re ipsa per il fatto stesso dello svolgimento di tale condotta (cfr. Cass. 5 marzo 2015, n. 4443, e Cass. 25 gennaio 2017, n. 1931)
Per tale motivo, la il giudice del gravame aveva condiviso pienamente la decisione impugnata, laddove aveva rilevato che «Nulla viene altresì dedotto e dimostrato in ordine all’effettiva lesione della reputazione commerciale della ricorrente, soltanto adombrata nel ricorso, e ad eventuali concrete conseguenze dannose dell’indebita segnalazione sulla reputazione della ricorrente nei rapporti con il ceto bancario e, in particolare, Banca ….. Sarebbe stato onere del danneggiato attore allegare fatti idonei a dimostrare la percezione da parte di terzi dell’illegittima segnalazione e le conseguenze negative in termini di credibilità e di reputazione, di percezione distorta della figura di XXX S.r.l. nel circuito bancario in punto di esposizione debitoria e solvibilità, di deterioramento delle relazioni commerciali, di effettivo discredito al buon nome dell’impresa. In difetto di tali necessarie allegazioni il giudice di primo grado ha, quindi, correttamente escluso la sussistenza di un danno non patrimoniale».
Anche con riguardo al danno patrimoniale, i giudici «hanno ritenuto non raggiunta la prova, atteso che in primo grado parte attrice aveva esclusivamente lamentato l’impossibilità di ottenere una carta di credito, elemento che di per sé non è produttivo di un apprezzabile danno. Il cliente avrebbe, invece, dovuto dimostrare l’esistenza di conseguenze pregiudizievoli derivanti direttamente dal rifiuto del rilascio della carta di credito ovvero di altri fatti attestanti il peggioramento dell’affidabilità commerciale».
A confutazione del gravame va ulteriormente precisato che il diniego della carta di credito (di per sé non è traducibile in pregiudizio economicamente apprezzabile) non costituisce danno patrimoniale; così come non costituisce danno patrimoniale la mancata concessione di un fido bancario. Invero, tanto l’uso della carta di credito quanto l’affidamento bancario si traducono in debiti per il soggetto che utilizza tali forme di credito; debiti che devono essere onorati. Un pregiudizio patrimoniale è ravvisabile ove, in conseguenza del mancato accesso a tali forme di credito, vi sia una contrazione dell’attività commerciale, la perdita di un determinato affare oppure il ricorso a forme di finanziamento diverse e più onerose; tutti fatti che nel caso in esame non sono neppure prospettati (v. Corte d’Appello di Milano, 7 luglio 2022)
Dinanzi a tale pronuncia, il ricorrente ha sollevato la questione in Corte di Cassazione, che a sua volta ha ritenuto infondato il motivo principale. Infatti, per la Suprema Corte deve tenersi per fermo il principio, solidamente ancorato al dettato dell’articolo 1223 c.c., applicabile nel campo aquiliano per il tramite dell’articolo 2056 c.c., secondo cui il danno è una conseguenza dell’illecito (ovvero dell’inadempimento), ossia della lesione dell’interesse protetto, conseguenza riguardata dall’ordinamento sotto specie di “perdita” ovvero di “mancato guadagno”, collegati alla lesione dell’interesse protetto tramite il nesso di casualità. Basterà allo scopo citare la sentenza n. 26972/2008 delle Sezioni Unite ove si evidenzia che la tesi del danno in re ipsa snatura la funzione del risarcimento. Questo sarebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo. In aggiunta ulteriore, la Cassazione sottolinea come per il resto il ricorrente, oltre al danno economico derivante dal diniego di accesso al credito, abbia confusamente denunciato un “irrimediabile danno morale” nonché una “lesione della reputazione personale e commerciale” ma ha ancora una volta omesso completamente di chiarire come e quando simili pregiudizi fossero stati dedotti nella fase di merito.
Di conseguenza l’istituto di credito che abbia commesso un errore nella segnalazione del nominativo di un soggetto nella sezione «garanzie prestate», presso la Centrale Rischi, è astrattamente responsabile ex art. 2050 c.c., costituendo tale segnalazione un’ipotesi di illegittimo trattamento di dati personali ex artt. 4 lett. a) e 15 d.lgs. n. 196/2003. Ciò nonostante, da tale illegittimo inserimento non deriva alcun danno né alla reputazione economica né all’immagine del segnalato, in quanto non si genera alcuna presunzione di scarso affidamento e scarsa solvibilità dello stesso. Grava, quindi, sull’attore-segnalato l’onere di dimostrare la sussistenza di danni economici, non essendo sufficiente a tal fine addurre il mancato conseguimento di finanziamenti che, di per sé, non rientra in tale tipologia di pregiudizio.
Avv. Ada Anselmo
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