N. 25/2021
Secondo i principi generali del nostro ordinamento la responsabilità civile degli amministratori di una s.r.l. deriva dall’inadempimento degli obblighi imposti dalla legge e/o dallo statuto; tuttavia, affinché tale condotta omissiva possa configurare ipotesi di responsabilità, è necessario che attraverso la stessa venga a realizzarsi un danno nei confronti della società o dei creditori sociali e che tra il danno e la condotta inadempiente si configuri un nesso di causalità.
Ogni qualvolta poi, una società si trovi in crisi, tra i doveri specifici rientrano quelli cristallizzati negli articoli artt. 2482-ter, 2485 e 2486 c.c.
L’organo di gestione della società potrebbe, infatti, incorrere in gravi profili di responsabilità civile ove l’amministratore, nonostante il palese stato di insolvenza della società, non proceda alla convocazione dell’assemblea dei soci al fine di assumere le necessarie deliberazioni volte alla liquidazione o alla ricostituzione del patrimonio sociale, ovvero a non porre in essere alcuna condotta di natura “conservativa” del patrimonio proseguendo con l’attività di impresa che produca ad un aumento delle perdite societarie.
Ai sensi dell’art. 2482-ter c.c., se, per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduce al di sotto del minimo stabilito dal numero 4) dell’art. 2463 c.c., gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo.
L’art. 2484 n. 4 c.c. prevede, poi, che la società si scioglie per la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, salvo quanto è disposto dagli articoli 2447 e 2482-ter c.c.
La risultante del combinato disposto di tali articoli fa sì che sussista, ex art. 2845 c.c, responsabilità personale degli amministratori ogni qualvolta gli stessi abbiano omesso di accertare il verificarsi di una delle cause di scioglimento previste dal codice civile, provocando un aggravamento delle perdite del patrimonio sociale (cfr. Tribunale di Venezia, sez. impresa, n. 362/2017).
Alla luce di quanto sopra, appare dunque costante l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’omessa attivazione della segnalazione dello stato di insolvenza integri responsabilità degli amministratori, quanto più tale insolvenza risulti manifesta ed irreversibile.
Ratio dell’art. 2482-ter c.c. è, infatti, quella di impedire ogni forma di prosecuzione dell’attività di impresa a fronte di un capitale oramai eroso al fine di far emergere la crisi d’impresa il prima possibile ed evitare frodi in danno dei creditori.
Rilevata la responsabilità personale dell’amministratore, occorre individuare la tipologia di danno che, ricollegandosi a tale profilo di responsabilità, possa dirsi risarcibile.
In merito alla quantificazione e liquidazione del danno risarcibile in seno all’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 L.F. nei confronti dell’amministratore, tra i criteri di liquidazione elaborati dalla giurisprudenza quello che trova maggiore utilizzo è quello del c.d. “differenziale dei patrimoni netti.
Il danno, infatti, viene calcolato come differenza tra i patrimoni netti registrati in due precisi momenti storici della vita societaria, il primo coincidente con il momento nel quale gli organi sociali hanno avuto la percezione della causa di scioglimento, il secondo dall’effettiva data di messa in liquidazione della società o di fallimento della stessa.
In tal modo può apprezzarsi la diminuzione subita dal patrimonio sociale per effetto della condotta non tempestiva degli amministratori.
Il computo non deve necessariamente individuare i singoli atti di natura distrattiva posti in essere potendosi basare su una valutazione in via equitativa.
Pertanto, tale criterio potrà applicarsi ogni qualvolta il curatore abbia dedotto che la perdita del capitale risalga ad un momento antecedente alla dichiarazione dello stato di insolvenza o alla formale messa in stato di liquidazione della società, provando che gli amministratori abbiano posto in essere una mala gestio tout court, rappresentata dalla continuazione dell’attività di impresa.
In conseguenza di ciò il danno del quale potrà richiedersi il risarcimento è quello relativo all’aggravamento del dissesto derivante dall’illegittima prosecuzione dell’attività di impresa.
Avv. Andrea Torneo