N. 26/2023
RAPPORTI TRA ESECUZIONE FORZATA E FALLIMENTO – Giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo – Disciplina anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 228/2012 – Sopravvenuto fallimento del terzo pignorato – Conseguenze – Improseguibilità – Fondamento
Con la Sentenza N. 16048 del 07.06.2023, la Suprema Corte prende posizione sulle sorti dell’accertamento dell’obbligo del terzo – nella disciplina precedente alle modifiche introdotte agli artt. 548 e 549 c.p.c. dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228 in caso di dichiarazione di fallimento del terzo pignorato, successivo alla notifica del pignoramento presso terzi.
Prima di addentraci nella tematica, è opportuno fare un breve excursus sull’accertamento dell’obbligo di terzo, e raffrontare la normativa previgente all’emanazione della Legge n. 228/2012, che di fatto ha notevolmente modificato la tematica inerente l’art. 548 c.p.c.
Infatti, prima dell’intervento del legislatore, qualora la dichiarazione del terzo fosse stata negativa, era necessario che il creditore facesse istanza di giudizio ex art. 548 e che tale giudizio proseguisse ai sensi del successivo art. 549, non essendo, invece, ritenuta sufficiente la semplice contestazione di tale dichiarazione.
Il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo costituiva un autonomo giudizio di cognizione ed era finalizzato all’individuazione della cosa assoggettata ad espropriazione, all’esito della mancanza o della contestazione della dichiarazione del terzo.
Per mezzo di questo giudizio si mirava a completare il pignoramento rimasto incompiuto per la mancata o contestata dichiarazione del terzo.
Tale giudizio aveva natura meramente endoprocessuale, essendo funzionale esclusivamente all’individuazione del credito in quanto oggetto del pignoramento.
Incombeva, pertanto, sul creditore procedente, attore nel giudizio ex art. 548, fornire la prova in ordine alla esistenza ed all’oggetto dell’obbligazione del terzo verso il debitore, mentre gravava sul terzo pignorato provare sia l’intervenuto verificarsi di un fatto estintivo o modificativo della pretesa attorea sia la sua anteriorità rispetto alla notifica dell’atto di pignoramento (nel giudizio instaurato ai sensi della norma in esame non si possono sollevare questioni che sarebbero proprie delle opposizioni esecutive).
Orbene, con la pronuncia sopra indicata, la Suprema Corte, ha chiarito, a chi spetta la competenza a pronunciarsi sull’esistenza di un credito nei confronti di un soggetto dichiarato fallito, e dalla stessa si possono cogliere molti spunti giurisprudenziali.
Ed invero, nell’assetto anteriore alla riforma della Legge n. 228/2012 l’accertamento dell’obbligo del terzo si configurava come un ordinario giudizio a cognizione piena ed esauriente, strutturalmente distinto dal processo esecutivo cui pure era funzionalmente collegato, giudizio celebrato dinnanzi al giudice munito di giurisdizione e di competenza per materia sul credito da accertare, svolto nelle forme descritte dal libro II del codice di procedura, concluso con una sentenza sottoposta agli ordinari mezzi di impugnazione, avente un duplice contenuto di accertamento: l’uno, idoneo ad acquistare autorità di cosa giudicata sostanziale tra le parti del rapporto, con oggetto il credito del debitore esecutato nei confronti del terzo pignorato; l’altro di rilevanza meramente processuale, concernente l’assoggettabilità del credito pignorato ad espropriazione forzata, efficace nei rapporti tra creditore procedente e terzo debitor debitoris, rilevante nel solo ambito della procedura in corso.
In base alla sentenza de quo tale accertamento risulta essere precluso dal sopravvenuto fallimento della società.
Secondo un consolidato e granitico orientamento giurisprudenziale, è improponibile o, comunque, improcedibile la domanda avanzata in sede extrafallimentare tesa a far valere una pretesa creditoria nei confronti del soggetto sottoposto alla procedura concorsuale, in quanto formulata secondo un rito diverso da quello previsto come necessario dalla legge e, quindi, inidonea a conseguire una pronuncia di merito.
Tale pronuncia non ha fatto altro che riprendere altre pronunce precedenti sempre della Suprema Corte, volte a dare ordine ad una questione di diritto così annosa e frutto di molteplici impugnazioni, che spesso sacrificavano la par condicio creditorum.
In tal senso è anche una precedente pronuncia, la Cassazione Sez. III Sent. N. 24156 del 04/10/2018:
“L’accertamento di un credito nei confronti del fallimento è devoluta alla competenza esclusiva del giudice delegato ex artt. 52 e 93 l. fall. con la conseguenza che, ove la relativa azione sia proposta nel giudizio ordinario di cognizione, deve esserne dichiarata d’ufficio, in ogni stato e grado, anche nel giudizio di cassazione, l’inammissibilità o l’improcedibilità, a seconda che il fallimento sia stato dichiarato prima della proposizione della domanda o nel corso del giudizio, trattandosi di una questione “litis ingressus impedientes”, con l’unico limite preclusivo dell’intervenuto giudicato interno, laddove la questione sia stata sottoposta od esaminata dal giudice e questi abbia inteso egualmente pronunciare sulla domanda di condanna rivolta nei confronti del fallimento, e del giudicato implicito, ove l’eventuale nullità derivante da detto vizio procedimentale non sia stata dedotta come mezzo di gravame avverso la sentenza che abbia deciso sulla domanda, ciò in ragione del principio di conversione delle nullità in motivi di impugnazione ed in armonia con il principio della ragionevole durata del processo”.
In maniera organica si può dunque senza dubbio alcuno sostenere che la domanda volta all’accertamento di un credito nei confronti del fallimento è devoluta alla competenza esclusiva del giudice delegato ex artt. 52 e 93, L.F.
Avv. Paolo Paglianiti
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