N. 36/2023
Rapporto tra procedure di ristrutturazione dei debiti ex art. 67 e ss. c.c.i.i. e procedure esecutive espropriative presso terzi con assegnazione in essere all’omologazione del piano
Il tema dei rapporti tra procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e procedure esecutive individuali è assai ricorrente nella prassi, poiché nella secolare contrapposizione tra debitore e creditore gli istituti della regolazione della crisi da sovraindebitamento sono, al contempo, sia un’opportunità per il debitore che voglia far sedere attorno ad un tavolo i suoi creditori e sottoporre ad essi un piano o una proposta che realizzi un loro soddisfacimento concorsuale sia un’arma per quel debitore che intenda avvalersene per finalità distorsive, e segnatamente per rallentare il creditore nel suo cammino verso la tutela esecutiva del credito.
Non è raro di fatti che il debitore decida di ricorrere agli istituti di sovraindebitamento con l’intenzionalità di bloccare le azioni esecutive poste in essere dal singolo creditore individuale.
Il legislatore prima e la giurisprudenza sia di merito che di legittimità poi hanno cercato e cercano di contemperare gli opposti interessi del debitore con quelli dei creditori.
Proprio in quest’ottica si colloca il presente focus che cerca di dare una risposta esaustiva al seguente interrogativo: “i pagamenti a favore di un creditore che ha precedentemente ottenuto l’assegnazione di una quota dello stipendio del debitore nell’ambito di una procedura esecutiva individuale già conclusa ed ancora in essere dopo l’omologa del piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore richiesto dal debitore sono inefficaci oppure debbano ritenersi validi ed efficaci?”.
Prima di approfondire la questione occorre richiamare brevemente il quadro normativo che disciplina l’istituto della ristrutturazione dei debiti del consumatore.
In brevis la ristrutturazione dei debiti è una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, disciplinata dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14) a carattere volontario, alla quale possono accedere solo i consumatori, basata su una proposta di soddisfacimento dei crediti formulata dal debitore, che viene rimessa alla valutazione del Tribunale. Essa consente, come le altre procedure di sovraindebitamento, al debitore di ottenere, entro determinati limiti, l’esdebitazione, cioè la liberazione dai debiti pregressi. È una procedura simile al concordato preventivo, ma con una differenza fondamentale. La proposta del debitore non è sottoposta alla votazione dei creditori, ma solo alla valutazione e al controllo del Tribunale.
La tutela dei creditori è dunque affidata al Tribunale, il quale valuta la legittimità, la fattibilità e la convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria (rappresentata dalle esecuzioni individuali o dalla liquidazione controllata).
La proposta di concordato può anche prevedere il pagamento parziale e dilazionato dei debiti da restituzione derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione e dalle operazioni di prestito su pegno (articolo 67, comma 3, c.c.i.i.).
Nelle suddette ipotesi occorre però precisare che, se, nel momento della presentazione della domanda di apertura della procedura di ristrutturazione dei debiti, il consumatore è debitore di una frazione del finanziamento ricevuto e, allo stesso tempo, parte dei suoi redditi futuri (quinto dello stipendio, quinto della pensione, trattamento di fine rapporto) è già stata ceduta al finanziatore stesso, la proposta può prevedere il pagamento parziale e dilazionato anche di tali debiti con la conseguenza che il finanziatore può continuare ad incassare direttamente i futuri ratei del quinto dello stipendio, della pensione o il trattamento di fine rapporto, ma solo limitatamente all’importo del credito ridotto nella proposta.
Si esplica quanto sopra affermato con il seguente esempio: se il credito residuo da finanziamento è di €. 10.000,00 e la proposta prevede il pagamento di tale credito nella misura del 20% (e, quindi, per un ammontare di €. 2.000,00), il finanziatore può continuare ad incassare i ratei futuri del quinto dello stipendio o della pensione o il trattamento di fine rapporto, fino a concorrenza dell’importo massimo di €. 2.000,00; raggiunto questo importo, il quinto dello stipendio o della pensione o trattamento di fine rapporto rientrerà nella disponibilità del consumatore e sarà eventualmente destinato a beneficio degli altri creditori, secondo quanto previsto dalla proposta a salvaguardia dei principi di concorsualità ed un’universalità della par condicio creditorum.
Proprio nell’ottica di salvaguardia dei principi di concorsualità ed un’universalità della par condicio creditorum , di recente la giurisprudenza di merito e nello specifico quella del Tribunale di Bologna con sentenza del 3 agosto 2023 n. 115, ha affermato che i pagamenti a favore di un creditore che ha precedentemente ottenuto l’assegnazione di una quota dello stipendio del debitore nell’ambito di una procedura esecutiva individuale già conclusa, se eseguiti dopo l’omologa del piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore sono inefficaci in quanto violano i suddetti principi di concorsualità e di universalità.
Con la suddetta sentenza viene rafforzata semmai ce ne fosse stata la necessità la tutela della par condicio creditorum rispetto alla tutela del singolo creditore.
Nella fattispecie de qua trattandosi di pignoramento presso terzi di una quota dello stipendio del debitore, l’assegnazione si protraeva inevitabilmente sui crediti futuri rientrati nella proposta di ristrutturazione diretta a soddisfare seppur in percentuale tutti i creditori del debitore.
Il Tribunale di Bologna ha statuito che se l’assegnazione continuasse a spiegare gli effetti anche in relazione ai crediti che diventano esigibili dopo il deposito del ricorso da parte del debitore – consumatore ciò comporterebbe una soddisfazione preferenziale del solo creditore che ha agito in sede esecutiva, a discapito degli altri creditori ledendo così il principio di concorsualità e di universalità degli stessi.
Tale statuizione è coerente con il recente intervento della Corte Costituzionale (sentenza 65/2022) che ha ritenuto infondata la questione di illegittimità costituzionale del previgente art. 8, comma I bis, legge 27 gennaio 2012, n. 3, “nella parte in cui non stabilisce che il piano del consumatore possa prevedere, alle medesime condizioni, anche la falcidia e la ristrutturazione dei debiti per i quali il creditore abbia già ottenuto ordinanza di assegnazione di quota parte dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione, poiché è la stessa ratio dell’art. 8, comma 1 bis, della L. 27 gennaio 2012, n. 3 ad attrarre, in via ermeneutica, nel contenuto della norma qualunque debito per il quale la modalità solutoria o la garanzia di adempimento siano state affidate alla cessione pro solvendo del credito, ivi inclusa l’ipotesi nella quale la cessione del credito sia derivata da un provvedimento giudiziale, anziché da un atto di autonomia privata”.
Inoltre il Tribunale di Bologna – facendo proprio i principi della Suprema Corte che hanno riconosciuto anche alle suddette procedura la natura concorsuale con l’applicazione della legge fallimentare anche ove non espressamente richiamato – ha statuito che nella procedura per l’omologazione del piano di ristrutturazione dei debiti per la soluzione della crisi da sovraindebitamento ex art. 67 e ss. c.c.i.i. deve prevalere il principio di parità di tutela dei creditori, valorizzato dal codice, piuttosto che il mantenimento di situazioni preferenziali acquisite e non esaurite in epoca anteriore all’inizio della procedura.
La Cassazione infatti in materia fallimentare ha avuto modo di affermare che ” in caso di fallimento del debitore già assoggettato ad espropriazione presso terzi, il pagamento eseguito dal “debitor debitoris” al creditore che abbia ottenuto l’assegnazione del credito pignorato ex art. 553 c.p.c. è inefficace, ai sensi dell’art. 44 l.fall., se intervenuto successivamente alla dichiarazione di fallimento, non assumendo rilievo, a tal fine, l’anteriorità dell’assegnazione, che, disposta “salvo esazione”, non determina l’ immediata estinzione del debito dell’ insolvente, sicché l’effetto satisfattivo per il creditore procedente è rimesso alla successiva periodica riscossione del credito, ossia ad un pagamento che, perché eseguito dopo la dichiarazione di fallimento del debitore, subisce la sanzione dell’ inefficacia.
Ed invero, fatta eccezione per l’ ipotesi prevista dall’art. 56 l.fall., il principio della “par condicio creditorum”, la cui salvaguardia costituisce la “ratio” della sottrazione al fallito della disponibilità dei suoi beni, è violato non solo dai pagamenti eseguiti dal debitore successivamente alla dichiarazione di fallimento, ma da qualsiasi atto estintivo di un debito a lui riferibile, anche indirettamente, effettuato con suo denaro o per suo incarico o in suo luogo, dovendosi ricondurre a tale categoria il pagamento eseguito dal terzo debitore. in favore del creditore del fallito destinatario dell’assegnazione coattiva del credito ex art. 553 c.p.c., la cui valenza estintiva opera, oltre che per il suo debito nei confronti del creditore assegnatario, anche per quello del fallito, e lo fa con mezzi provenienti dal patrimonio di quest’ultimo” (Cass., Sez. 6 – 1, ord. 22 gennaio 2016, n. 1227).
Ne deriva pertanto che anche nella procedura sovraindebitamento ex art. 67 e ss. c.c.i.i. deve prevalere l’interesse e la tutela dei creditori intesi nella lora universalità e concorsualità e quindi a tutela della par condicio creditorum ne deriva che i pagamenti eseguiti successivamente all’omologa da parte del terzo debitore anche se in esecuzione di un provvedimento giudiziale emesso prima del decreto di omologa devono essere dichiarati inefficaci.
Avv. Mauro Milone
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